La Corte di Cassazione (Sez. 2, Sentenza n. 12264 del 09/05/2025) ha chiarito che l’accordo tra un privato e il Comune per la cessione gratuita di un terreno, finalizzato a ottenere una concessione edilizia (nel caso specifico per ristrutturare e sopraelevare un edificio), non ha natura di atto di diritto privato, ma è un accordo endoprocedimentale di natura pubblicistica.
La natura dell’accordo
Secondo la Cassazione, l’impegno a cedere un’area a titolo gratuito, assunto dal costruttore nei confronti dell’ente pubblico, è un mezzo vincolante per conseguire l’autorizzazione edilizia. Non è, quindi, un semplice contratto privato di cessione.
Le conseguenze sul possesso
Questa qualificazione è cruciale perché impedisce al privato, una volta che il terreno è entrato nel patrimonio comunale, di trasformare la sua mera detenzione in possesso utile per l’usucapione.
In pratica, la semplice disponibilità del bene e, soprattutto, il pagamento di oneri tributari (come IMU o TARI) non sono sufficienti a dimostrare un’interversione del possesso (cioè il mutamento della detenzione in possesso).
Perché il privato possa invocare l’usucapione, è necessaria una manifestazione esteriore e inequivocabile, rivolta contro il Comune (il possessore), dalla quale si possa dedurre che il privato abbia smesso di esercitare il potere sul terreno in nome dell’ente e abbia iniziato a esercitarlo esclusivamente nel proprio nome.
La Corte ha rigettato il ricorso (il riferimento è alla Corte d’Appello di Firenze), confermando il principio secondo cui la disponibilità del terreno, dopo la cessione al Comune per fini edilizi, resta una detenzione qualificata che non si muta in possesso con il solo versamento delle imposte.
Fonte: Rassegna mensile della
giurisprudenza civile della
Corte di cassazione