La terza sezione del Consiglio di Stato si occupa, nella sentenza 6918/2019, dei presupposti che devono sussistere per il provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale.
L’art. 143 del T.U.E.L., al c. 1, spiegano innanzitutto i giudici di Palazzo Spada, richiede che gli elementi capaci di evidenziare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato devono essere “concreti, univoci e rilevanti” ed assumere una valenza tale da determinare “un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”.
Lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria” che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono l’esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa dell’interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee riconducibili all’influenza e all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata. Ai fini dello scioglimento può essere sufficiente anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti controindicati.
In conclusione, secondo gli stessi giudici, le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso; assumono quindi rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione. Gli elementi vanno comunque contestualizzati territorialmente, tenuto conto della valenza che determinate condotte possono assumere in particolari contesti ambientali.