Villaggio di umili pescatori divenuto megalopoli digitale con 13 milioni di abitanti in pochi decenni, Shenzhen è la principale e più sofisticata creatura di Huawei. Messo recentemente sotto accusa per una presunta azione di spionaggio in Rete, il colosso dell’ICT made in China sta proiettando la sua lunga ombra gialla sul mercato internazionale delle nuove tecnologie, con particolare attenzione verso l’Europa. La lunga marcia, tuttavia, è partita proprio da questa cittadina fondata dal PCC nel 1978 col preciso intento di imboccare la strada della modernizzazione High-Tech, avvalendosi anche della sua posizione geografica favorevole: fronteggia Hong Kong.
Fatto sta che oggi Shenzhen può essere considerata a pieno titolo il simbolo della versione cinese della smart city. Lo dimostrano dati, numeri, attività, funzioni. Le telecamere, ad esempio, monitorano traffico e zone calde. La connettività accelera la burocrazia e migliora l’efficienza dell’amministrazione. I dati aiutano la polizia nella gestione della sicurezza con database condivisi e alert di riconoscimento facciale, ecc. Non a caso, ha eletto la città come proprio quartier generale e ha fondato un mega-campus per la ricerca nella vicina Dongguan. Obiettivo strategico della corporation dagli occhi a mandorla, mettere a disposizione delle città un cervello tecnologico che possa aiutare un Sindaco “a prendere decisioni consapevoli, promuovere l’e-government e consentire al sistema dei trasporti e della polizia di trasmigrare sulle piattaforme digitali”. Non a caso, Yan Lida, presidente di Huawei Enterprise Bg, ha dichiarato: “Le città del futuro si fonderanno su cinque nuovi pilastri: cloud, internet of things, data lake, artificial intelligence e network di video sorveglianza. Sono gli abilitatori che possono aiutare Governi e imprese a far fronte alle complicate sfide future”. E ce n’è estremo bisogno: basti pensare che oggi, a livello globale, le città consumano due-terzi dell’energia mondiale, emettono il 70% della Co2 e producono 6,3 miliardi di tonnellate di rifiuti in plastica.
Per questa ragione Huawei è impegnata su molti fronti ai quattro angoli del pianeta. Si va da Yanbu, in Arabia Saudita, una delle oltre 700 città del pianeta supportate da Huawei nella transizione digitale, ai centri urbani del Belpaese nel cuore del Vecchio Continente. Lapidaria e insieme illuminante la frase di un topo manager dell’azienda cinese: “Certo, quindici anni fa quando ho incominciato in questa azienda, era davvero difficile pensare di poter diventare dei protagonisti sul mercato europeo: oggi abbiamo radici profonde, fatturiamo miliardi di dollari in Europa e diamo lavoro a 10mila persone”. Per ora interessate alla strategia di penetrazione del gigante cinese sono Torino, Milano, Roma e Cagliari. Proprio nel capoluogo della perla del Mediterraneo è iniziato il viaggio tricolore di Huawei, che si è concentrata su funzioni specifiche come analisi dei dati, gestione dell’ordine pubblico e prevenzione degli eventi meteorologici. E ora è la volta della Città Eterna, dove sarà aperto il primo Open Lab italiano di Huawei. Ce ne sono in tutto il mondo di questi centri di ricerca avanzata. I top manager della corporation mirano a crearne 20 entro il 2020.