Secondo i giudici della sesta sezione del Consiglio di Stato va rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il diritto dell’Unione europea osti a una normativa nazionale, come quella di cui all’art. 8, comma 6, l. 22 febbraio 2001, n. 36, intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia.
I giudici di palazzo Spada sottolineano che la disciplina europea ha contribuito a far emergere un duplice elemento che, seppur già ricavabile dalle norme interne (a partire dagli artt. 15 e 21 Cost.), appare di fondamentale importanza nel suddetto bilanciamento: il diritto all’informazione dei cittadini e quello del cittadino di effettuare e ricevere chiamate telefoniche (e comunicazioni di dati) in ogni luogo, senza, quindi, limitazioni di carattere spaziale-territoriale (cfr. altresì art. 4 direttiva servizio universale). In tale diritto è ricompresa, anche se come contenuto accessorio, la facoltà di poter chiamare gratuitamente i numeri d’emergenza e in particolare il numero d’emergenza unico europeo a partire da qualsiasi apparecchio telefonico (cfr. Direttiva servizio universale, considerando 12) e di essere localizzati, anche senza comunicare, in situazioni in cui fosse necessario per la tutela della propria vita o della sicurezza anche altrui (considerando 36).
“Per rendere effettivo tale diritto – si legge nella nota del Consiglio di Stato – la disciplina europea ha imposto specifici obblighi a coloro i quali gestiscono i servizi, prevedendo che gli operatori del servizio universale mantengano l’integrità della rete, come pure la continuità e la qualità del servizio (considerando 14), in modo tale da assicurare l’effettività del diritto in capo a tutti gli utenti omogeneamente su tutto il territorio dell’Unione europea”.
Sotto questo profilo, spiegano i giudici amministrativi – secondo una impostazione dottrinale di origine europea, il diritto dell’utente a poter chiamare, essere chiamato e trasmettere dati sempre e dovunque costituisce un diritto a soddisfazione necessaria che non può essere compresso o limitato arbitrariamente né da normazioni di livello statale né tantomeno da normazioni di livello inferiore
Tali diritti possono peraltro all’evidenza porsi in conflitto con quelli alla tutela dell’ambiente, della salute e del corretto assetto del territorio. Quelli appena richiamati danno vita ad interessi che, in materia, si muovono nella medesima direzione: la massimizzazione della tutela dell’ambiente esigerebbe che non vi fosse alcuna emissione elettromagnetica artificiale e pertanto nessun apparato/antenna idonea a produrlo; quella del corretto assetto del territorio che non vi fossero pali, tralicci o altre strutture più o meno impattanti; quella della salute imporrebbe, sulla scorta del principio di precauzione, di evitare qualsiasi tipo di emissione elettromagnetica in quanto potenzialmente dannosa.
In via astratta l’iter conflittuale in esame, oggetto di attenta ricostruzione a livello nazionale di riparto di competenza fra enti nella giurisprudenza costituzionale (nei termini con chiarezza espressi dalla Corte costituzionale, in specie a partire dalla sentenza 307 del 2003), è stato così efficacemente riassunto anche a livello dottrinale: posto che i dati scientifici attualmente a disposizione non dimostrano in modo certo che le emissioni elettromagnetiche siano dannose per la salute; posto che il principio di precauzione impone comunque di adottare ogni cautela in vista di danni ipoteticamente possibili, allora occorre definire i limiti oltre i quali, precauzionalmente, non sono legittime le emissioni. Tali limiti segnano la misura dell’incomprimibilità del diritto alla salute. La massimizzazione del diritto alla comunicazione troverebbe quindi in essi un primo confine invalicabile: le emissioni delle antenne dovranno essere sempre inferiori ai limiti cautelativi posti sulla base delle risultanze scientifiche anzidette. D’altra parte, dato che il diritto alla comunicazione non può essere arbitrariamente e ingiustificatamente compresso o limitato, le amministrazioni preposte al corretto governo del territorio dovranno trovare le soluzioni che di volta in volta meglio consentano il minor sacrificio dello stesso e, allo stesso tempo, la massima tutela del diritto alla comunicazione.
È necessario, quindi, a quest’ultimo proposito, individuare un bilanciamento; in tale ottica la condivisa interpretazione della disciplina nazionale in materia di cui agli orientamenti del Consiglio di Stato sopra richiamati, va sottoposta alla verifica della compatibilità con la disciplina europea vigente.