Entro oggi, 18 dicembre, i proprietari delle case di lusso, degli immobili strumentali, come negozi, capannoni, uffici, botteghe, e delle seconde-terze case dovranno versare la seconda rata dell’Imu e della Tasi che ammonterà, complessivamente, a 9,9 miliardi di euro. Lo sforzo più importante ricadrà sui proprietari di seconde e terze case che saranno chiamati a versare ai Comuni 5,3 miliardi di euro. I possessori di capannoni, di uffici e di negozi, invece, dovranno pagare 4,5 miliardi di euro, mentre i proprietari di una casa di pregio che viene utilizzata come abitazione principale corrisponderanno all’amministrazione comunale dov’è ubicato l’edificio 36,8 milioni di euro.
Lo segnala l’Ufficio studi della Cgia, giunto a questi risultati “analizzando i dati riferiti ai gettiti della prima e della seconda rata degli anni precedenti”. Ma non finisce qui. Secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’ufficio studi, che “oltre al pagamento della seconda rata dell’Imu e della Tasi, lunedì gli imprenditori dovranno versare le ritenute Irpef e i contributi previdenziali dei propri dipendenti e dei collaboratori. Inoltre continua Zabeo – coloro che sono tenuti al pagamento su base mensile dell’Iva dovranno corrispondere all’erario l’imposta riferita al mese di novembre. Se si considera che entro Natale bisognerà erogare anche le tredicesime, per moltissime imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, non sarà facile disporre della liquidità necessaria per onorare tutte queste scadenze”.
Sarà la Lombardia a dare il contributo economico più importante: tra l’Imu sulle case di lusso (7 milioni di euro), l’Imu e Tasi sugli immobili strumentali (1 miliardo) e sulle seconde/terze case (786 milioni), i lombardi verseranno nell’insieme 1,8 miliardi di euro. Al secondo posto di questa singolare graduatoria troviamo i laziali che dovranno corrispondere 1,2 miliardi di euro, mentre sul terzo gradino del podio dei più tartassati troviamo gli emiliano-romagnoli che saranno costretti a metter mano al portafogli per un importo complessivo di 855 milioni di euro.
“Grazie al blocco degli aumenti introdotto dal Governo Renzi nella legge di Stabilità 2016, ad eccezione della Tari, anche quest’anno le tasse locali non hanno subito alcun aumento” segnala il segretario della Cgia, Renato Mason. “Non solo, ma già da due anni possiamo beneficiare dell’abolizione, sia della Tasi sulle abitazioni principali non di lusso, sia dell’Imu sugli imbullonati e sugli immobili a uso agricolo” aggiunge.
Più in generale, segnalano dalla Cgia, il carico fiscale che grava sulle spalle dei contribuenti italiani rimane ancora su livelli non più sopportabili. “In linea puramente teorica – chiarisce Paolo Zabeo – nel 2017 ogni italiano verserà mediamente 8mila euro d’imposte e tasse all’erario, somma che si alzerà fino a sfiorare i 12mila euro se si considera anche il pagamento dei contributi previdenziali. E la serie storica indica che negli ultimi 20 anni le entrate tributarie dello Stato sono aumentate di oltre 80 punti percentuali, quasi il doppio dell’inflazione che, nello stesso periodo, è salita del 41 per cento”.
Dalla Cgia, infine, sottolineano che “le difficoltà legate alla crisi e il conseguente deciso aumento delle tasse avvenuto in questi ultimi 10 anni hanno, tra le altre cose, aumentato le dimensioni dell’economia sommersa presente nel nostro Paese”. Un fenomeno, quello del ‘nero’, evidenzia la Cgia, “che continua ad alimentare la concorrenza sleale di coloro che non sono conosciuti al fisco nei confronti della stragrande maggioranza degli operatori economici di piccola dimensione che non vogliono o non possono evadere il fisco”.
Le ultime stime elaborate dall’Istat (anno 2015) evidenziano che l’economia sommersa si aggira attorno ai 190 miliardi di euro l’anno, pari all’11,5 per cento del Pil italiano, ricorda la Cgia. E di questi 190 miliardi di euro di valore aggiunto generato dall’economia sommersa, prosegue l’associazione, il 49% circa è ascrivibile a forme di sotto-dichiarazione dei redditi praticate dagli operatori economici (pari a 93,2 miliardi), il 40,6% al lavoro irregolare (che corrisponde a 77,3 miliardi di euro), e il restante 10,4% (19,8 miliardi di euro) ad altre componenti residuali di evasione, come ad esempio gli affitti in nero.
La Cgia ricorda, infine, che le unità di lavoro irregolari presenti in Italia sono oltre 3,7 milioni. Il 71 per cento circa è costituito da persone occupate in prevalenza come dipendenti (pari a poco più di 2,6 milioni). Incidenze molto elevate di irregolarità occupazionale si registrano nei servizi alla persone (47,4%), nell’agricoltura (17,9%), nel commercio/ristorazione (16,7%) e nelle costruzioni (16,9%).