Lo spreco alimentare nel mondo è una delle realtà drammatiche che vede finire nella pattumiera miliardi di tonnellate di cibo. Secondo la Fao, a livello globale nel 2007 un terzo della massa dei prodotti alimentari (un quarto se espressi energia) è stato sprecato (1.6 miliardi di tonnellate, circa 660 kcal/procapite/giorno, per un valore di circa 700 miliardi di euro), nella filiera che va dalla produzione al consumo. Un fenomeno che genera effetti socio-economici e ambientali molto significativi. Allo spreco alimentare sono associate emissioni di gas-serra per circa 3,3 miliardi di tonnellate (Gt) di anidride carbonica (CO2), pari a oltre il 7% delle emissioni totali (nel 2016 pari a 51.9 miliardi di tonnellate di CO2). Se fosse una nazione, lo spreco alimentare sarebbe al terzo posto dopo Cina e USA nella classifica degli Stati emettitori.
In Italia, come nel resto del mondo, lo spreco alimentare è stato per lungo tempo ampiamente sottostimato, poco indagato e documentato. Negli ultimi anni sta guadagnando l’attenzione in diversi ambiti, anche per via della crisi economica globale e il cambiamento globale incluso quello climatico, considerato come uno dei principali problemi ambientali e socio-economici che l’umanità si trova ad affrontare. Tra le priorità Onu per lo sviluppo sostenibile c’è il dimezzamento (in energia alimentare pro capite) entro il 2030 degli sprechi globali in vendita al dettaglio e consumo e la riduzione di perdite in produzione e fornitura. L’Italia, è tra i pochi Paesi dell’Ue, in cui è stata approvata una delle prime leggi per contrastare il fenomeno (L. 166/2016).
La riduzione dello spreco alimentare a scala globale contribuirebbe in maniera decisiva a tagliare le emissioni di gas serra e raggiungere gli obiettivi di breve e lungo termine dell’Accordo di Parigi, limitando alcuni degli impatti del cambiamento climatico, tra cui gli eventi estremi come alluvioni e prolungati periodi di siccità e l’innalzamento del livello del mare. E’ per questo che l’Ispra ha avviato una ricerca sul tema, producendo un primo rapporto tecnico, dal titolo “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”, presentato la scorsa settimana. Secondo la ricerca lo spreco alimentare in Italia, se misurato in termini energetici, è stimabile intorno al 60% della produzione iniziale.
Nell’analisi sono contenuti dati e informazioni sull’impronta ecologica dello spreco. Esso incide sul deficit di biocapacità (ossia lacapacità potenziale di erogazione di servizi naturali) per più del 58% globalmente, del 30% nell’area del Mediterraneo e del 18% in Italia, dove da solo impiega più del 50% della biocapacità del Paese. I suoi effetti ambientali sono associati soprattutto alle fasi iniziali della catena di produzione agroalimentare. Dopo quasi mezzo secolo dalla cosiddetta “rivoluzione verde”, che avuto anche il merito di incrementare la produttività agricola, è sempre più evidente che i sistemi alimentari, soprattutto quando hanno assunto forme d’insostenibilità e intensificazione, sono stati una delle cause scatenanti dell’alterazione dei processi climatici, dei cicli dell’azoto e del fosforo, della perdita a dell’integrità biologica, della riduzione della disponibilità di acqua, del consumo di suolo fertile.
Il rapporto Ispra contiene, inoltre, dati sugli effetti ambientali. La tendenza globale dal 2007 al 2011 indicherebbe un notevole aumento di sprechi tra produzione e fornitura (+48%), una sovralimentazione in fortissimo aumento (+144%) e uno spreco in consumo e vendita al dettaglio che diminuisce del 23%. Del 44% di spreco globale, il 24% è causato da inefficienza di allevamenti animali, pari al 55% degli sprechi totali, in Europa arriva a toccare il 73% degli sprechi e in Italia il 62%; l’inefficienza di conversione di input edibili in derivati animali è nel mondo circa il 64%, in Europa e Italia circa il 77%.
Nel mondo la sovralimentazione media rappresenta il 10% del consumo e arriva al 14% in Europa, al 16% in Italia. Mediamente agli aumenti del fabbisogno alimentare si risponde con eccessi crescenti di forniture, consumi e ancor più raccolti, generando aumenti esponenziali di spreco. Al contrario con la riduzione di produzione e forniture calano anche gli sprechi. Nel fabbisogno alimentare, l’Italia continua a perdere terreno: il tasso di auto-approvvigionamento (rapporto percentuale tra la produzione interna e il fabbisogno alimentare nazionale) è sceso all’80%, soprattutto in conseguenza dell’esodo rurale e dell’abbandono agricolo. L’Italia è, infatti, al primo posto in Europa per abbandono rurale agricolo: la Superficie agricola utilizzata (Sau) è diminuita negli ultimi trent’anni del 22%.