L’innovazione è il must del nostro tempo. L’imperativo categorico cui nessuno ormai può sottrarsi, pena l’emarginazione. Se non si è innovativi si diventa irrimediabilmente dei loser. Ciò vale sia per le istituzioni e le imprese, che per i singoli. E’in economia, soprattutto, che il dinamismo innovatore deve estrinsecarsi, altrimenti si è condannati alla “stagnazione secolare”. Lo sentenziano i più affermati guru del settore. Non si può negare, in effetti, che negli ultimi decenni un grande impulso al cambiamento sia venuto dai processi innovativi messi in moto in alcune aree del pianeta, Silicon Valley in testa. Così è nata e si è diffusa la Rete, ha preso piede la cibernetica, sta prendendo forma e corpo l’industria 4.0, avanza la disintermediazione nella produzione di beni e servizi, ecc. Ma non è tutto oro quel che luccica. Non bisogna dimenticare che la realtà presenta sempre due facce, come minimo. E che una di esse è oscura, negativa. Il lavoro umano, quello vivo, ad esempio, rischia molto e ha già subito pesanti contraccolpi in termini di disoccupazione e supersfruttamento, anche per effetto del massiccio ricorso ai robot all’interno del processo produttivo. Non a caso, oltre 3 milioni di posti di lavoro saranno minacciati in Italia nei prossimi 15 anni proprio per ‘colpa’ dei robot. E’ lo scenario delineato da una recente ricerca ‘Tecnologia e lavoro: governare il cambiamento’, elaborata dall’Ambrosetti Club sulla base dell’articolo scientifico ‘The Future of Employment: How susceptible are jobs to computerisation?’ di C.B. Frey e M.A. Osborne, professori di Oxford, presentata al Forum Ambrosetti in corso a Cernobbio.
“Con automazione s’intendono tutte quelle tecnologie capaci di gestire sistemi meccanici e processi fisici o logici a complessità variabile, riducendo la necessità dell’intervento umano. Il continuo sviluppo della tecnologia genera un crescente timore verso l’effetto sostituzione uomo-macchina e le ricadute che questo fenomeno potrebbe avere su Paesi, imprese e persone”, si legge nel rapporto. Utilizzando dati forniti dall’Istat, la ricerca ha infatti consentito di effettuare analisi su 129 categorie professionali e di calcolare il numero di posti di lavoro che potrebbero essere persi nei prossimi 15 anni: “I risultati delle elaborazioni effettuate indicano che il 14,9% del totale degli occupati, pari a 3,2 milioni, potrebbe perdere il posto di lavoro nell’orizzonte temporale di riferimento”. Quali categorie e skill sono più al sicuro? “La non ripetitività del lavoro svolto, le capacità creative e innovative richieste per lo svolgimento delle mansioni, la complessità intellettuale e operativa delle attività svolte e le capacità relazionali e sociali, sembrerebbero ridurre il rischio di automazione degli occupati”.