Il Venezuela è sulla soglia della guerra civile e, forse, un passo in avanti. Lo ammette anche il nostro premier, Paolo Gentiloni, che in un’intervista tv ha dichiarato: “In Venezuela c’è una situazione al limite della guerra civile e di un regime dittatoriale. Una realtà che non riconosceremo: non riconosceremo l’assemblea costituente voluta da Maduro. Ricordiamo che ci sono 130mila italo venezuelani in condizioni molto precarie. Ci muoviamo dunque sul piano diplomatico e su quello della difesa dei nostri connazionali”. I costi umani e le dinamiche del conflitto socio-politico in atto parlano chiaro: 14 morti negli scontri di strada soltanto la domenica scorsa, tra le vittime anche una ragazzina di 15 anni a San Cristobal, nell’ovest del Paese; 121 dagli inizi della crisi e almeno 1.958 i feriti. E’ il bilancio comunicato dalla procuratrice generale, Luisa Ortega Diaz, che per la prima volta attribuisce la responsabilità di queste morti: almeno il 25% dei caduti si deve alle forze dell’ordine e il 40% a gruppi di civili armati. “Il peggio è che siamo testimoni anche di crimini contro l’umanità – ha aggiunto la Procuratrice – Il Venezuela non merita questo, sono gravi violazioni dei diritti umani che intendo continuare a denunciare”.
Nel frattempo gli eventi accelerano, anzi galoppano con un ritmo vertiginoso, probabilmente in direzione del baratro. Nel suo primo discorso pubblico dopo la comunicazione dei risultati nelle elezioni per l’Assemblea Costituente, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha dichiarato che l’organismo servirà per prendere misure contro il Parlamento, la Procuratrice Generale, i dirigenti dell’opposizione e la stampa indipendente. Forti le resistenze che tali annunci stanno suscitando. In primis quella del presidente delle Camere, Julio Borges, che parla di ‘uno scenario di scontro violento’, perché l’opposizione non vuol cedere la sede del legislativo all’Assemblea, di cui non riconosce la legittimità. Contro la Costituente voluta da Maduro si schiera anche la combattiva Procuratrice Luisa Ortega Diaz. “Le elezioni per l’Assemblea Costituente svoltesi in Venezuela sono uno schiaffo al popolo e alla sua sovranità, che serve solo a soddisfare le ambizioni dittatoriali di un piccolo gruppo che vuole perpetuare il potere assoluto in mano ad una minoranza. Occorre disconoscere l’origine, il processo e il presunto risultato di questa Costituente immorale”, ha infine sentenziato.
A dir poco surreali, al contrario i commenti di Maduro: “ Nel Paese regna la calma. Le elezioni sono un successo storico del chavismo”. Ma la realtà è del tutto diversa. I dati ufficiali parlano di un’affluenza del 41,5%, mentre l’opposizione riferisce di un’astensione dell’87%. Intanto, aumentano i paesi americani che non riconosceranno l’esito dello scrutinio: Messico, Colombia, Perù e Argentina; il Cile parla di voto “illegittimo”. E gli Stati Uniti impongono sanzioni al presidente del Venezuela che si vanno ad aggiungere alla già lunga lista degli esponenti del governo venezuelano finiti nel mirino delle autorità a stelle e strisce. L’amministrazione Trump congela gli asset di Maduro sotto la giurisdizione Usa e vieta agli americani di fare affari con lui. Le prossime ore, i giorni a venire, ci diranno con maggiore chiarezza che piega prenderanno gli eventi, ossia se il processo della guerra civile entrerà o meno nella sua fase conclamata, oppure se maturerà una sorta di fragile compromesso in grado di scongiurare temporaneamente altri scontri e lutti.