Il negoziato sul bilancio pluriennale non è mai stato semplice, fin da quando Jacques Delors, negli anni ’80, introdusse il meccanismo che accorpa in una sola proposta ogni sette anni le risorse dei bilanci annuali, sostituendo i precedenti negoziati che quasi paralizzavano ogni sei mesi l’attività comunitaria. Questa volta, però, c’è un enorme problema in più da risolvere: come compensare, almeno parzialmente, la perdita della contribuzione britannica, che significa fra i 12 e i 14 miliardi di euro in meno nei sette anni. Dovendo cancellare il “rebate” britannico (la restituzione di una parte della contribuzione annuale di Londra), infatti, bisognerà cancellare anche i meccanismi compensativi che col tempo erano stati introdotti a favore di alcuni paesi “contributori netti” (Germania, Olanda, Danimarca). Una semplificazione, insomma, che sarà molto complicata da attuare. E se la Francia e la Germania si sono già dichiarate disponibili, in linea di principio, ad aumentare leggermente la propria contribuzione, ci sono paesi, come l’Austria e l’Olanda, che non intendono dare un euro in più. Ecco perché il commissario al Bilancio, Genther Oettinger, ha avvertito che comunque “ci saranno dei tagli” in alcune voci di bilancio di modesta entità, sotto al 10%. Certamente non si tratterà di tagli lineari, visto che si prevede l’incremento dei finanziamenti in alcune aree (per esempio, i fondi della Politica estera comune per gli aiuti ai paesi terzi, quelli per la gestione delle frontiere esterne e dei flussi migratori, quelli per i programmi di ricerca). Di converso, vi sarà sicuramente una riduzione in altri settori, e soprattutto nella Pac, la politica agricola comune (37% del bilancio attuale), e nella politica di coesione (35% del bilancio). Secondo le anticipazioni, la Commissione sarebbe orientata a proporre una riduzione del 60% del totale di queste due voci nel bilancio complessivo. Proprio la redistribuzione dei finanziamenti nella politica di coesione sarà una delle criticità cui guardare con più attenzione. Dopo la crisi, i paesi del Sud ad alta disoccupazione (compresa l’Italia) vorrebbero riprendersi una parte della cospicua fetta di torta che l’ultima volta era stata attribuita ai nuovi paesi membri dell’Europa centro orientale (le cui economie vanno meglio proprio grazie ai fondi Ue). D’altra parte, proprio questi Paesi sono contrari ai nuovi meccanismi che potrebbero essere introdotti per condizionare l’attribuzione dei finanziamenti comunitari al rispetto dello Stato di diritto da parte dei Governi al potere e dei loro impegni di solidarietà nella crisi migratoria.