L’1,3 per cento dei dipendenti ha sfruttato questa opportunità. Ma la sperimentazione voluta dal governo Renzi finisce qui. L’intervento era mirato a garantire un po’ di liquidità in più a chi si trovava in difficoltà economiche. Addio, dunque, al Tfr in busta paga. Il provvedimento, introdotto tre anni fa in via sperimentale, non è stato prorogato. Fino al 30 giugno 2018, si legge sul sito dell’Inps, “i dipendenti del settore privato hanno potuto richiedere ai rispettivi datori di lavoro, in via sperimentale, di percepire in busta paga la quota maturanda del trattamento di fine rapporto come quota integrativa della retribuzione”. L’istituto di previdenza informa che, “a decorrere da luglio 2018, non essendo stato adottato dal legislatore alcun provvedimento di proroga o reiterazione delle disposizioni normative, i datori di lavoro non saranno più tenuti a erogare in busta paga la quota maturanda del TFR per i dipendenti che ne abbiano fatto richiesta”.
“Decadono, pertanto – precisano -, gli obblighi informativi e contributivi della circolare Inps del 23 aprile 2015, numero 82, fatte salve specifiche indicazioni, contenute nel messaggio, relative alle aziende che abbiano avuto accesso al finanziamento della quota integrativa della retribuzione”.