Il salario accessorio per uno statale è una voce assai indeterminata: nella scuola, ad esempio, corrisponde a poco più di 3 mila euro, mentre nei ministeri il “gruzzolo” diventa più che doppio, per arrivare alla presidenza del Consiglio dove è otto volte tanto. Tra il minimo e il massimo intercorrono oltre 23mila euro. Questa l’istantanea dell’Aran (dati 2015) su un mondo variegato, dove le differenze hanno anche ragioni strutturali: rapporto tra dirigenti e non, storia retributiva e specificità di comparto. La “produttività” pesa meno del 30%. Con la riforma Madia, quindi, si vuole elevarla al 50%.
Il salario accessorio nel pubblico impiego, dunque, può rappresentare fino a metà dell’intera busta paga o solo un decimo. A scattare la fotografia sulla giungla dei contratti integrativi è l’Aran, l’Agenzia che rappresenta il governo nei negoziati con i sindacati e che presto dovrebbe ricevere dalla ministra della P.a, Marianna Madia, il mandato ad aprire i tavoli sui rinnovi, dopo sette anni di blocco.
Nella classifica dei trattamenti accessori, si piazza al primo posto la presidenza del Consiglio dei ministri, con 26.904 euro mentre all’ultimo gradino si trova la scuola con 3.266 euro. In questo caso le varie indennità e premi di produttività valgono il 47% dello stipendio complessivo, mentre nella scuola ci si ferma al 12%. Tra il valore minimo e quello massimo c’è un mondo diversificato, dove le fluttuazioni non mancano, dai ministeri con 6.816 (23% del totale) agli enti pubblici non economici come Inps e Inail (16.081, 38%), passando per le agenzie fiscali (11.322, 32%). Ovviamente le differenze scontano anche il rapporto che c’è tra il numero di dirigenti e il resto del personale, visto che la retribuzione dei ‘capi’ si basa soprattutto sui risultati.
E non solo, le discrepanze si spiegano anche con il fatto che alcune indennità fisse in dei settori ricadono sulle voci stipendiali, in altri su quelle accessorie. Detto ciò gli squilibri appaiono comunque netti. Tanto che nella riforma del pubblico impiego, presentata in Cdm giovedì, si stabilisce che “al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni”, la contrattazione “per ogni comparto o area di contrattazione” opera una “graduale convergenza”, anche “mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione”. Appare quindi chiara la volontà di mettere ordine, tenendo conto che nel salario accessorio oggi finiscono straordinari e diverse indennità, anche fisse (di comparto) e non solo variabili (come quelle di turno o reperibilità).
C’è poi la produttività, voce che attualmente pesa meno del 30% sul totale dell’accessorio e che invece il governo vuole elevare a “quota prevalente” (oltre il 50%). Posto che l’obiettivo non è l’appiattimento completo, visto che alcune differenze si giustificano anche con il tipo di lavoro (basti pensare ai turni negli ospedali). Di certo il salario accessorio sarà un argomento caldo nelle trattative per i rinnovi contrattuali. Se, dati dell’Aran alla mano, dal picco, toccato nel 2011, a oggi, ultimo aggiornamento al 2015, si è perso di più sull’accessorio (-413 euro) che sul resto (-357 euro). Questioni che tra qualche settimana dovrebbero essere al centro del dibattito. Madia, infatti, ha assicurato, dopo il primo via libera alla riforma degli statali, di essere pronta a firmare l’atto di indirizzo, fischio d’inizio ufficiale delle trattative. Un atto che Cgil, Cisl e Uil vogliono “immediatamente”, dopo che, ricorda la Confsal Unsa, sono passati “quasi due anni dalla sentenza della Consulta” che ha dichiarato illegittimo proseguire con il blocco.