Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, conosciuto come “rete Sprar”, vanta risultati significativi. La collaborazione tra Anci e Ministero dell’interno ha infatti favorito una distribuzione dei migranti più equilibrata e proporzionata sul territorio nazionale, rispetto alla popolazione residente, e meglio controllata. Meno concentrazioni, dunque, e più coinvolgimento a livello locale, attraverso progetti che agevolano anche i processi d’integrazione e di inserimento socio-economico dei rifugiati. Lo si evince leggendo Il “Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017”, presentato di recente a Roma nella sede dell’Anci. “Il sistema Sprar funziona e tutti i Sindaci, di tutti gli orientamenti politici, se ne stanno rendendo conto”, ha affermato durante la conferenza stampa il delegato Anci all’immigrazione e Sindaco di Prato, Matteo Biffoni. E ha poi aggiunto: “Più è ampia la platea meglio è”.
Realizzato da Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes e Servizio Centrale dello Sprar, in collaborazione con Unhcr, il Rapporto 2017 fornisce indicazioni sul fenomeno migratorio e sulle modalità di accoglienza a livello mondiale, europeo e nazionale. I dati raccolti mostrano la crescita della rete Sprar e il percorso attraverso il quale l’Italia ha deciso di superare l’approccio di tipo emergenziale, riconoscendo il fenomeno migratorio attuale come elemento “globale, stabile e strutturale”. Sono 3.231 i Comuni aderenti alla rete Sprar, il 40% del totale; 664 gli enti locali titolari di progetto, dei quali 582 Comuni, 19 Province, 17 Unioni di Comuni, 5 Comunità montane, 41 Consorzi intercomunali, ambiti territoriali, società della salute. In un solo anno, si registrano 9.000 beneficiari Sprar in più, passati da 26.000 a 35.000. Complessivamente, i richiedenti asilo accolti nel sistema Sprar sono quintuplicati in cinque anni. Il prefetto Mario Morcone, forte di una lunga esperienza in tema immigrazione, è intervenuto alla conferenza di presentazione del rapporto, evidenziando anche la necessità di rivedere la legge Bossi-Fini: “Non perché si tratti di una legge da giudicare buona o cattiva, ma perché risale a quindici anni fa e dopo quindici anni è una legge ormai fuori asse temporale”.