Galeotto fu il Covid, che ha costretto la maggior parte delle aziende a ricorrere allo smart working per i propri dipendenti che dovevano mantenere il distanziamento sociale. All’inizio sono state parecchie le perplessità da parte degli imprenditori che, vittime di luoghi comuni non dimostrati, ritenevano il lavoro agile un modo per favorire pigrizia e furbizia dei lavoratori. Tuttavia, dopo averlo sperimentato in modo forzato durante l’emergenza, solo il 6% delle imprese dichiara di voler tornare alle condizioni preesistenti senza smart working. E’ quanto emerge dalla terza edizione della survey “Future of Work 2020” rivolta alle direzioni del personale delle grandi aziende italiane, realizzata da Osservatorio Imprese Lavoro Inaz e Business International. I dati parlano chiaro. Il 60% delle imprese indica nello smart working l’iniziativa più urgente su cui investire per quanto riguarda la gestione delle risorse umane e il 67% mette la digitalizzazione in cima alla lista delle priorità .
«In tutti i cambiamenti che hanno travolto le imprese quest’anno, si è confermata la centralità del fattore umano – fa notare Linda Gilli, presidente e AD di Inaz –. La ricerca fotografa indubbiamente una situazione in divenire, in cui emergono tendenze a volte contraddittorie, ma una cosa è molto chiara: le esperienze fatte nel 2020 lasceranno una traccia profonda, su tutte il lavoro a distanza.
Per trasformare quest’ultimo in vero smart working occorre, da un lato proseguire sulla strada della digitalizzazione, ma dall’altro non bisogna mai perdere di vista il ruolo dell’azienda come luogo di socialità e aggregazione». Innovare i modelli di organizzazione del lavoro è indicato dal 69% delle aziende come l’obiettivo prioritario in ambito Risorse Umane (HR) di qui a tre anni, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2019. Fra le competenze su cui la funzione HR sente di dover migliorare, spiccano formazione e sviluppo di nuove competenze (55% delle risposte, +10% rispetto allo scorso anno). Una serie di domande introdotta in quest’ultima edizione della ricerca mira invece a indagare come gli effetti della pandemia stiano modificando le prospettive future dell’organizzazione del lavoro. Emerge quindi che, per quanto riguarda il lavoro a distanza, il 78% delle aziende dichiara che l’esperienza è stata positiva durante l’emergenza, ma necessita di una progettualità; il 56% dei Direttori HR evidenzia l’aumento di motivazione e senso di responsabilità dei collaboratori.
Per quanto riguarda poi le prospettive concrete per il futuro sempre nell’ambito dello smart working, poco meno di due aziende su tre modificheranno il modus operandi precedente, o implementando in modo sistematico lo smart working (43%) o incrementando le pratiche di smart working già in atto (18%). Tra le rimanenti solo il 6% tornerà alle condizioni preesistenti senza smart working, il 3% confermerà le policy di smart working già consolidate e il 31% dichiara di trovarsi ancora dentro il processo decisionale su possibili cambiamenti. Nel dettaglio, per quanto riguarda il mix tra lavoro in sede e lavoro a distanza su base settimanale, per il 35% delle aziende interpellate il lavoro delocalizzato sarà, in proporzioni diverse, comunque prevalente rispetto al lavoro in sede. Il 39% delle aziende prevede invece più prudentemente due giorni su cinque di smart working. Un altro 13% infine si sta orientando per un solo giorno di erogazione della prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede dell’azienda.
Quanto alle criticità dello smart working, l’aspetto su cui si sono maggiormente concentrate le risposte (1 su 5) è quello della leadership, seguita dal rischio di una diminuzione non tanto delle performance, quanto del senso di appartenenza dei collaboratori (18% delle risposte).
Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali