La fine dello stato di emergenza non cambia le regole sullo smart working, almeno fino al 30 giugno, termine ultimo per accedere al lavoro agile su base volontaria. Nonostante la proroga, però, le modalità, gli strumenti, i doveri e diritti di questa nuova formula che abbiamo imparato a sperimentare negli anni del Covid restano al centro del dibattito. Così, se la pandemia ha accelerato molto l’adozione del lavoro agile che, stando alla definizione contenuta nella legge che la disciplina, sarebbe una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (…), senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro”, ora è sempre più urgente capire in che modo lo smart working possa diventare una formula collaudata capace di portare benefici all´interno delle organizzazioni e ai lavoratori anche nel post-emergenza.
La strada verso un corretto uso del lavoro agile, tuttavia, sembra ancora lunga. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel periodo di completa remotizzazione, il 28% ha sofferto di tecnostress e il 17% di over working, a dimostrazione del fatto che non si può parlare di smart working senza aver definito un modello organizzativo e delle policy adeguate che lo rendano attuabile e positivo per tutte le parti interessate. E questo mentre il dibattito pubblico su come ripensare il mondo del lavoro in base alle esigenze personali sta prendendo sempre più piede (basta osservare quanto sta accadendo negli Stati Uniti, con la nascita di movimenti che rimettono al centro la soddisfazione del lavoratore, intesa in senso olistico e non solo legata alle ore “di ufficio”) e la ricerca sta analizzando in che modo il ricorso allo smart working abbia cambiato profondamente i metodi di apprendimento e di formazione nel mondo del lavoro.
“La vita in ufficio serve a creare cultura, allineamento e coaching diffuso, ma occorre considerare il fatto che il poter lavorare da remoto garantisce flessibilità e work-life balance. Trovare un equilibrio si può: la chiave del successo è definire progetti di smart working disegnati sulle esigenze delle persone, con focus sul raggiungimento degli obiettivi e bilanciamento tra le diverse necessità personali e aziendali” – spiega Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico di Cefriel, centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano, che ha iniziato a sperimentare la modalità del lavoro agile già a partire dal 2014, consolidando l´esperienza nel 2017 con un gruppo di smart worker, pubblica oggi il white paper “Lavorare bene. Lo smart working come alleato”.
L’approfondimento, contenuto nella collana di white paper dedicati ai grandi temi legati all’innovazione digitale dell’impresa e della Pubblica Amministrazione, è a cura di Roberta Letorio. Si tratta di una guida pensata per aziende e lavoratori, che fissa le priorità secondo cui pensare al “secondo tempo” del lavoro agile e che contiene le best practice dello smart working individuate da Cefriel. Ma quali sono, quindi, le regole che emergono dallo studio Cefriel e che possono orientare il nuovo, imminente, corso dello smart working? In primo luogo sarà necessario ripensare gli spazi, prevedendo luoghi per interazioni e luoghi di isolamento. Una possibile evoluzione degli spazi in questo senso vedrà la costruzione di isole progettuali, in cui le persone non hanno una scrivania assegnata, ma si riuniscono intorno a un team di progetto. Allo stesso tempo sarà necessario regolare i tempi di lavoro evitando che lo smart working diventi lavoro da remoto senza vincoli di orario. Indicazioni preziose da questo punto di vista sono: evitare le riunioni tra le 13 e le 14.30; evitare di chiedere il coinvolgimento dei colleghi, salvo imprevisti, al di fuori dell’orario lavorativo e nel weekend; nel caso si predispongano delle mail in questi range temporali ritardarne l’invio.
Lavoro agile non significa lavoro solitario, per questo una delle priorità individuate da Cefriel riguarda proprio il valore delle relazioni negli ambienti lavorativi che vanno mantenute anche da remoto. Infine questa nuova modalità richiede un ripensamento sui modelli di leadership, lo smart working ha bisogno di una leadership generativa, empatica, attenta allo sviluppo e al benessere delle persone. Un modello al quale si può fare riferimento è senza dubbio quello della Leadership Situazionale di Blanchard, ispirato a uno stile “contingente” e flessibile, che tenga conto delle differenze fra collaboratori “inesperti” e “maturi” e fra “Junior” e “Senior” e in cui è il leader ad adattare le sue azioni in base al livello di maturità di chi lo segue.