“Una struttura militare del regime siriano utilizzata per dei bombardamenti chimici è stata distrutta stanotte dall’intervento americano. Assad porta per intero la responsabilità di questo sviluppo della situazione”, hanno dichiarato il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel in un comunicato congiunto, assicurando che Washington li aveva preventivamente informati della sua azione. Di parere diametralmente opposto Dmitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, che ha definito l’azione “un attacco a uno Stato sovrano, che costituisce una violazione delle norme del diritto internazionale, per giunta pianificato – e ha poi aggiunto – Questa mossa da parte di Washington provoca un sostanziale danno alle relazioni russo-americane, che sono già ridotte a brandelli”. E’ intervenuto anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha chiesto un incontro all’omologo russo Sergey Lavrov e ha quindi ribadito che in Siria occorre insediare un Governo di transizione che non veda coinvolto il presidente Bashar al Assad. Come interpretare questo repentino intervento bellico da parte di Trump, peraltro accusato in casa propria di essere troppo “amico” di Putin?
Al di là delle dichiarazioni scontate, originate da un gioco delle parti non facilmente decifrabile, restano i fatti: cinquantanove missili Tomahawk, sparati da due cacciatorpedinieri nel Mediterraneo, hanno centrato la seconda più grande base aerea della Siria dove si trovano velivoli Sukhoi-22, Sukhoi-24 e MiG-23”. Un’azione non meramente simbolica, dunque. In realtà una netta risposta di Washington all’attacco chimico sulla cittadina di Khan Sheikun, sfociato nella morte di oltre ottanta civili, compresi molti bambini. Questo all’apparenza, almeno. Da una lettura più approfondita dell’evento, tuttavia, potrebbe emergere una trama più complessa e articolata con diversi attori coinvolti, tesa probabilmente a far uscire di scena Bashar al Assad in vista dell’imminente sconfitta dell’Isis e finalizzata a costruire un assetto pacifico stabile nell’area. Tesi, questa, fondata su alcuni elementi di fatto: le dichiarazioni favorevoli all’intervento dei maggiori leader europei (preavvertiti). E la stessa reazione indignata dei russi che appare più di facciata che sostanziale. Non a caso, l’Amministrazione Usa ha avvertito anche loro prima di colpire. Le prossime ore e i giorni che seguiranno potrebbero portare maggiore chiarezza sull’intera vicenda.