Sarà esaminata mercoledì, nella camera di consiglio della Corte costituzionale, l’ammissibilità delle richieste relative ai tre quesiti referendari sul Jobs Act, una delle riforme chiave del governo Renzi, tra le più discusse e contestate nel Paese. L’ammissibilità è a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare della Cgil: ‘Carta dei Diritti Universali del Lavoro ovvero nuovo Statuto di tutte le Lavoratrici e di tutti i Lavoratori’.
Le richieste sono già dichiarate conformi alla legge dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, grazie all’ordinanza depositata il 9 dicembre 2016, e i tre quesiti hanno come oggetto i seguenti temi:
- La cancellazione del lavoro accessorio (voucher)
- La reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti
- La nuova tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende al disopra dei cinque dipendenti.
Intanto, qualche giorno fa, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria per conto della presidenza del Consiglio, in cui, a parere del governo Gentiloni, la consultazione promossa dalla Cgil contro una delle riforme chiave dell’esecutivo Renzi “si palesa inammissibile“: il quesito referendario per abrogare le modifiche apportate con il Jobs Act all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti ha “carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo“.
La presentazione della memoria in vista della decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti, attesa per l’11 gennaio, era stata anticipata al termine del Consiglio dei ministri del 29 dicembre e confermata dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Lo stesso Poletti a metà dicembre aveva detto di ritenere “probabile” che si vada a elezioni politiche prima del referendum, cosa che comporterebbe lo slittamento di un anno della chiamata alle urne per esprimersi sul Jobs Act.
L’organo che assiste lo Stato nei procedimenti giudiziari ha depositato tre memorie, una per ognuno dei quesiti che la Consulta esaminerà in camera di consiglio: oltre a quello sulla reintroduzione dell’articolo 18 ce n’è uno che chiede l’abolizione dei voucher, i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie diventati “l’ultima frontiera del precariato“. L’ultimo riguarda le disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni dei doveri nei confronti del lavoratore.
I giudici costituzionali a cui è stato affidato il ruolo di relatori sono per il primo quesito Silvana Sciarra, giuslavorista eletta dal Parlamento a novembre 2014 in quota Pd, per il secondo Mario Morelli, (presidente di sezione della Cassazione, che l’ha eletto nel 2011) e per il terzo Giulio Prosperetti, giuslavorista eletto dal Parlamento nel 2015 in quota centristi.
L’estensore delle memorie è Vincenzo Nunziata, vice avvocato generale, a cui è stata affidata anche la difesa dell’Italicum su cui la Corte si esprimerà il 24 gennaio. La sua tesi di fondo, per quanto riguarda il quesito sui licenziamenti, è che la formulazione del quesito scritto dal sindacato di Susanna Camusso va oltre il ripristino dell’articolo 18, perché estende il diritto alla reintegra nel posto di lavoro (in caso di scioglimento illegittimo del contratto da parte del datore) ai dipendenti delle aziende con un numero di dipendenti tra 5 e 15.
Ma prima della riforma targata Renzi e Poletti, che ha introdotto i contratti a tempo indeterminato “a tutele crescenti”, il diritto a riavere il posto spettava solo ai lavoratori di imprese oltre i 15 addetti.
Il referendum, anziché puntare alla semplice abrogazione della nuova normativa e al ritorno dello status quo ante, si configurerebbe dunque come “propositivo”, appunto. E in quanto tale non ammissibile. “Proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento; disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire”, scrive Nunziata.
Nell’articolo 18 l’ambito di applicazione della tutela reale viene stabilito differenziando a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 o più di 5 dipendenti e in più la disposizione contiene due regole speciali: la prima vale per le organizzazioni diverse dalle imprese agricole, la seconda solo per le imprese agricole. Invece “l’intento dei promotori del referendum – rileva l’Avvocatura – è quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta”.
Ma “secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni”. E’ di questo avviso, per esempio, il giuslavorista Pd Pietro Ichino, così come Tiziano Treu e Giuliano Cazzola.
Per quanto riguarda i voucher, la posizione dello Stato è che eliminando i buoni si produrrebbe un vuoto normativo. “L’abrogazione dal corpo del decreto legislativo 81/2015 dei tre articoli suddetti – si legge nella memoria – potrebbe determinare un vuoto normativo idoneo a privare di una compiuta e necessaria regolamentazione tutte quelle prestazioni che – per la loro limitata estensione quantitativa o temporale – non risultino utilmente sussumibili nel paradigma normativo del lavoro a termine o di altre figure giuridiche contemplate dall’ordinamento vigente”. L’Avvocatura rileva che “il proposito referendario non è tanto quello di sopprimere il ‘voucher’, quale strumento di remunerazione e disciplina del lavoro accessorio, ma di abolire lo stesso istituto del lavoro accessorio” e su questa base chiede che il quesito sia dichiarato inammissibile dalla Corte.
Infine l’ultimo quesito, quello sulle disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante nei confronti del lavoratore. In questo caso l’Avvocatura sostiene che “l’eventuale esito positivo della consultazione condurrebbe ad una condizione di incertezza normativa“. Questo perché l’articolo 29 del decreto legislativo 276/2003 per cui è stato chiesto il referendum assume un carattere “speciale” rispetto all’art. 1676 del codice civile sui diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente e l’abrogazione “porrebbe il problema del coordinamento tra le due disposizioni che (in caso di esito positivo del referendum), lungi dal porsi in rapporto di specialità, si limiterebbero a regolare la stessa fattispecie della prestazione lavorativa”. Inoltre “una eventuale modifica della disciplina nel senso del quesito referendario, avrebbe, come ulteriore effetto, quello di incidere sulla regolamentazione delle vicende negoziali in essere al momento della modifica normativa”.