Le “quote rosa” hanno vita difficile nel sistema degli enti locali, soprattutto nei piccoli Comuni. Tra i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti delle Regioni a statuto ordinario che sono stati chiamati alle urne nell’ultima tornata elettorale, solo uno su due ha raggiunto l’obiettivo ‘quote rosa’. In ben 176 casi su 351 i candidati uomini hanno sforato il tetto dei 2/3 e in 63 Comuni hanno rappresentato percentuali superiori all’80% del totale. Caso limite Samo, in Calabria, dove si è raggiunta quota 100%. È quanto emerge da una elaborazione del Centro Studi Enti Locali per l’Adnkronos, basata su dati del Viminale.
Il tema della rappresentazione femminile nelle liste elettorali dei piccoli Comuni è stato recentemente portato all’attenzione del Consiglio di Stato che si è pronunciato, attraverso l’ordinanza n. 4294/2021, sollevando la questione di costituzionalità per la legge che regola le elezioni nei Comuni fino a 5.000 abitanti per mancato rispetto del principio della parità di genere. I candidati di sesso femminile hanno superato quelli appartenenti al genere maschile soltanto in 14 Comuni: uno in Abruzzo (Aielli), uno in Calabria (Amaroni), uno in Emilia Romagna (Montese), due enti laziali (Arcinazzo e San Gregorio da Sassola), due in Lombardia (Fuipiano Valle Imagna e Mazzo di Valtellina), un Comune marchigiano (Monteleone di Fermo), 5 amministrazioni piemontesi (Benevello, Vaprio D’Agogna,Venaus, Vistrorio e Pezzana) e uno pugliese (Accadia). Il record è stato segnato nel Comune di Pezzana, un piccolo Comune di circa 1.300 abitanti in Provincia di Vercelli, dove entrambe le liste (‘Pezzana che vorrei’ e ‘Pezzana che lavora’) vedevano nel proprio schieramento 2 uomini e 8 donne. I due generi sono stati equamente rappresentati in 12 Comuni (2 Piemonte, 2 Basilicata, 2 Lombardia, 1 Marche, 1 Molise e 4 Piemonte), ma le buone notizie si fermano qui.
In tutti gli altri casi, ovvero nel 93% del totale degli enti al di sotto dei 5.000 abitanti coinvolti nelle amministrative del settembre 2020 (solo Regioni a statuto ordinario), i candidati di sesso maschile hanno ampiamente superato quelli di sesso femminile. Globalmente le donne (2.602 su 8.162) hanno rappresentato il 31,8% del totale, leggermente al di sotto quindi del terzo dei candidati complessivi. Ma cosa prevedono le norme vigenti? Esistono 3 discipline differenti da applicare ad altrettanti scaglioni demografici, con regole sempre meno stringenti man mano che decresce la popolazione. Nel caso dei Comuni con più di 15.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in ciascuna lista in misura superiore a due terzi dei candidati ammessi. Ove questo non accada, la Commissione elettorale circondariale può ridurre le liste cancellando, partendo dall’ultimo, i nomi dei candidati appartenenti al genere sovra rappresentato. Nel caso in cui, dopo questa riduzione, il numero di candidati ammessi sia inferiore a quello minimo previsto, scatta la ricusazione della lista.
Per gli enti con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, in caso di violazione delle disposizioni a tutela della parità tra sessi, la lista viene ridotta cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere rappresentato in misura eccedente i due terzi dei candidati. Per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti – che in Italia rappresentano circa il 70% del totale – la spinta verso la parità di genere è decisamente più ‘soft’. Come evidenziato dai giudici di Palazzo Spada, l’unica previsione di riequilibrio di genere è contenuta nell’art. 2 della Legge 215/2012 che dispone che ”nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi”.
Non è quindi prevista, a oggi, alcuna misura sanzionatoria a carico delle liste che non assicurino almeno un terzo di donne tra candidati. Se la Consulta dovesse avallare la posizione del Consiglio di Stato, promuovendo l’estensione ai Comuni più piccoli delle previsioni valide per gli enti dai 5.000 abitanti in su, i consigli comunali italiani potrebbero cambiare volto in misura significativa.