Il destino del lavoro vivo nel sistema globalizzato dell’economia-mondo è sempre più incerto, come confermano diversi studi e indagini di livello internazionale. Fatto sta che, secondo l’Ocse, nei Paesi avanzati circa 66 milioni di lavoratori, quasi uno su 6, sono ritenuti a “elevato rischio di automazione”. Una stima che si basa su un’analisi che copre 32 Paesi e che si avvale della Survey of Adult Skills (Piaac). I ricercatori, pertanto, sono giunti alla conclusione che sul 14% dei posti di lavoro attuali vi sia un 70% e oltre di probabilità di automazione da parte di computer e algoritmi. L’ente rileva comunque come questo dato appaia più contenuto di quello indicato in uno studio analogo del 2013 (Frey and Osborne). Ma oltre ai posti di lavoro ad alto rischio, c’è un ulteriore 32% di posizioni lavorative sulle quali, secondo l’ente parigino, potrebbero subire “cambiamenti significativi” in relazione alle mansioni da svolgere, alla quota di lavoro vivo che potrebbe essere robotizzata e alle qualifiche necessarie per accedere a tali posti.
La ricerca mette in evidenza, tuttavia, anche le differenze tra i Paesi presi in esame: si va da un picco del 33% nella Repubblica Slovacca di posti di lavoro ritenuti ad alto rischio di automazione ad appena il 6% in Norvegia. In Italia questa quota si attesta attorno al 15%, secondo i grafici pubblicati dall’ente parigino. Più in generale il lavoro nei paesi nordici appare meno a rischio di automazione, mentre all’opposto risultano nel mirino dell’innovazione tecnologica di processo le posizioni con basse qualifiche, come addetti alle cucine, minatori, addetti alle pulizie, alle costruzioni e ai trasporti, tipiche delle economie meno sviluppate delle aree meridionali.