“L’Italia non è un Paese di archeologia cibernetica, tuttavia, in virtù del bisogno che viene dall’attenta valutazione del quadro della minaccia, bisogna produrre una straordinaria accelerazione. I soggetti principali dell’attuale quadro della minaccia sono fondamentalmente tre. Il primo è legato al cyber-spionaggio che, aumentato significativamente, tocca nelle viscere istituzioni, imprese, segmenti importanti dell’industria nazionale. Esso ha due finalità, la prima meramente distruttiva, mirata a demolire capacità, la seconda tendente a rubare conoscenza, colpendo in entrambi in i casi la competitività economica e il principio della concorrenza nazionale e internazionale. In questo senso, il cyber-spionaggio è uno strumento di attacco ai principi della libertà e della concorrenza. Il secondo soggetto è denominato con il termine hacktivism, questione già nota e ampliamente approfondita. Il terzo aspetto del quadro della minaccia merita invece un maggiore approfondimento, in quanto connesso alla sfida della minaccia terroristica”. Lo scrive Marco Minniti – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica – in un articolo che analizza in maniera puntuale il tema della cyber security e dei rischi che essa corre in una temperie segnata dai bagliori di guerra, come quella attuale. Il sottosegretario fa notare, infatti, che nel giro di un triennio la minaccia rappresentata dall’Islamic State a livello globale si è acutizzata. Si tratta – dice – di “un soggetto di terrorismo internazionale molto forte e minaccioso che utilizza le strategie di comunicazione muovendosi come un pesce nell’acqua: conosce tutti gli elementi più sofisticati dal punto di vista tecnologico e comunicativo. Le sue finalità sono essenzialmente due: reclutamento e campagna mediatica. Una parte significativa delle conversioni e delle radicalizzazioni non avviene attraverso riti collettivi, avviene attraverso un rapporto sul web… In secondo luogo, il web viene usato per influenzare e indirizzare i lupi solitari che possono essere attivati sul territorio”. Di qui la necessità – evidenziata da Minniti – che il nostro Paese maturi una capacità d’intervento e di reazione positiva adeguata al livello della minaccia. Proprio a tal fine il Governo ha investito cospicue risorse. “Nella legge di stabilità – ricorda Minniti – c’è, per questi temi, una posta di bilancio significativa: 150 milioni di euro”.
Di conseguenza, occorre muoversi su tre direttrici. In primo luogo, bisogna potenziare la capacità di reazione abbattendone i tempi. Obiettivo da perseguirsi – insiste il sottosegretario – attraverso un “coordinamento sempre più forte tra i settori e i soggetti della Pubblica amministrazione, con sinergia e integrazione tra pubblico e privato. La seconda direttrice della controffensiva è la cooperazione con i grandi provider, con l’obiettivo di contrastare quelli che, imprecisamente, definisco ‘malware comunicativi’”. Minniti ribadisce, tuttavia, un concetto forte: la controffensiva nei confronti del progetto Jihad non deve implicare la restrizione dello spazio di libertà dei cittadini. “Uno degli obiettivi dei terroristi – spiega – è colpire le ragioni di una democrazia, e se una democrazia risponde alla sfida perdendo un pezzo di se stessa, e cioè accettando lo scambio tra sicurezza e libertà, già parte indebolita nello scontro. Non dobbiamo indebolire la privacy, ma piuttosto chiedere consapevolezza, partecipazione e protagonismo”. Di qui la decisione adottata dalla comunità dei servizi segreti, dopo la vicenda Snowden, di firmare un protocollo di cooperazione con il Garante della privacy con l’obiettivo di aprirsi al confronto e al dibattito, reclutando anche giovani risorse di provenienza universitaria in grado di portare dinamismo e una “ventata di aria fresca” all’interno degli apparati d’intelligence.
Il ragionamento sviluppato dal sottosegretario delegato alla sicurezza della Repubblica appare lucido e fornisce indicazioni interessanti, sebbene un nodo cruciale su cui approfondire il dibattito riguarda proprio il nesso critico lotta al terrorismo/privacy. Non è del tutto chiaro, soprattutto dal punto di vista operativo, come possa coniugarsi un’efficace azione di contrasto al jihadismo, sia all’interno del cyber space, sia nei diversi scenari bellici, con il rispetto della legalità democratica (convenzione di Ginevra compresa). Una questione ineludibile è sul tappeto e attende risposte convincenti, anche sulla scorta delle brutte pagine di Abu Ghraib e di Guantanamo: si può combattere e vincere la “guerra asimmetrica” con strategie, tattiche e metodologie tradizionali?