Gallette rancide ridotte a polvere, piene di vermi e piscio di topi, cuoio frollato da cinque giorni nell’acqua di mare e per dissetarsi un liquido putrido sul fondo dei barili. La dieta dell’equipaggio della Victoria, della Trinidad e della Conception, miseri gusci di noce dispersi nell’azzurra immensità del più grande oceano mai solcato dall’uomo bianco fra il novembre del 1520 e il marzo del 1521.
Qualcuno ha scritto che le imprese dei grandi navigatori – e dei loro equipaggi, dal comandante in seconda sino all’ultimo mozzo – nell’economia della Storia del genere umano sono paragonabili per importanza alle sacre follie degli astronauti del XX secolo. Quella di Ferdinando Magellano rimane probabilmente la follia sull’acqua più grande di ogni epoca, un’odissea attorno al globo durata tre anni, condita da ammutinamenti, naufragi, superstizioni, fame, malattie, freddo, incontri con misteriosi indigeni, morte, prigionia e infine ricchezza e gloria per i pochissimi superstiti. Centodiciotto sono i giorni che le tre navi sopravvissute ai disastri nella Terra del Fuoco – in origine erano cinque – trascorreranno immerse nella bonaccia del Pacifico, centodiciotto giorni che vedranno le provviste assottigliarsi e guastarsi, le corde sfilacciarsi, le vele afflosciarsi, le gengive gonfiarsi, i topi sparire, gli squali circondare minacciosi questi strani legni mai visti da queste parti e così odorosi di cadavere…. E finalmente, il 16 marzo 1521 il tanto agognato grido – la forza della disperazione dopo aver sentito l’alito della morte a un palmo dal viso -: Terra! L’ammiraglio portoghese – caduto in disgrazia in patria e passato dalla parte dei cugini iberici – scopre per conto del Re Carlo I di Spagna un arcipelago che battezzerà Isole di San Lazzaro, dal nome del Santo di quel 16 marzo. Sulle prime e secondo i suoi calcoli – aggiornati più volte in mezzo a quell’inferno azzurro – quelle sarebbero le Molucche, le leggendarie Isole delle Spezie che la Spagna si disputa con i Portoghesi.
Ci penserà il suo interprete e schiavo personale Enrique, un indigeno nato proprio da quelle parti, a dirimere la questione: chiamato in coperta e postosi a fiutare l’aria come un segugio decreta poco dopo che quelle no, non sono le Molucche. Partiti alla ricerca delle preziose spezie indonesiane, un manipolo di spagnoli comandati da un portoghese all’alba del ‘500 e pagando un tributo altissimo – su 230 rientrarono in 35 – certifica la sfericità della terra, ne misura l’effettiva circonferenza, si accorge che navigando verso ovest sino al punto di partenza si perde un giorno sul calendario, scopre un complicatissimo passaggio per aggirare le Americhe, l’esistenza di un inimmaginabile oceano che quasi li ucciderà tutti e pone le basi per la colonizzazione dell’unica terra orientale dell’impero ispanico: le Filippine. Occorrono all’incirca altri 40 anni perché la Spagna si impossessi definitivamente di tutto l’arcipelago nel frattempo ribattezzato in onore di Filippo II. In 6 anni, dal 1565 al ‘71 la spedizione di Lopez de Legazpi partita nel ’64 dal Messico conquista tutte le isole e soprattutto le sue due realtà urbane principali, Tondo e Maynilad, fondendole in un’unica entità: Manila. Gli spagnoli si premurano di edificare un quartiere fortificato, Intramuros, che ancora oggi costituisce il nucleo storico della città coloniale, proclamano Manila capitale delle Filippine e ne indirizzano lo sviluppo verso un intenso e redditizio commercio con la Cina. Il toponimo significa “dove si trova l’indaco”, grazie alla presenza nell’area di specifiche essenze da cui si estraeva tale colore. Dal XVIII secolo questa pratica divenne una vera e propria attività commerciale discretamente redditizia per l’economia cittadina.
Ma è grazie ad un altro spagnolo, navigatore, avventuriero, studioso nonché frate agostiniano che le Filippine e segnatamente la loro capitale conosceranno un’epopea straordinaria che ne segnerà e nobiliterà per sempre la storia. Non sono in molti a conoscere Andrés de Urdaneta ma la sua impresa dovrebbe collocarlo se non ai livelli dei Vasco de Gama, dei Colombo e dei Magellano quantomeno lì d’appresso. Sembra strano a raccontarlo oggi ma nei 40 anni successivi al primo attraversamento del Pacifico da parte del navigatore portoghese nel 1521, nessuno riuscì a compiere il viaggio a ritroso, dall’Asia alle Americhe. I quattro o cinque tentativi portati avanti tutti da flotte spagnole fallirono miseramente tra fortunali e venti contrari al punto che verso la metà del XVI secolo lo scoramento tra gli iberici era palpabile. La Spagna era sì arrivata per prima dall’altra parte del globo passando dall’America ma non riusciva ancora a sfruttare questa superiorità strategica. Urdaneta aveva partecipato da giovane alla spedizione di Garcia Jofre nel 1525 per un ultimo tentativo di colonizzare le Molucche ma era stato fatto prigioniero dai portoghesi e tenuto da quelle parti per 8 anni. Ebbe modo di conoscere lingue e usanze di molte aree del sudest asiatico e accumulò una preziosissima quantità di appunti, mappe e disegni che costituiranno la base del grande sapere che in seguito farà la sua fortuna. Ritornato in patria fece poi carriera in Messico diventando consigliere del Viceré per le questioni economiche e sociali – fu tra i primi a occuparsi anche dei maltrattamenti cui erano sottoposti i nativi – ma non smise mai di interessarsi ai mari, alle correnti, ai venti, alla cartografia.
Prese i voti nel Nuovo Mondo e, quando sembrava destinato a una serena vita monastica, nel 1559 gli venne chiesto da Filippo II in persona di comandare la spedizione che avrebbe definitivamente colonizzato le Filippine. Il vecchio navigatore obbedì al suo Re ma chiese di parteciparvi come consigliere non come comandante, che divenne per l’occasione il summenzionato Miguel Lopez de Legazpi. Appena il tempo di sbarcare nell’arcipelago asiatico e fondarvi le prime due chiese (San Vitales e la Basilica del Santo Niño) e Legazpi gli affidò il compito di tentare il rientro in Messico riattraversando il Pacifico, cosa che Urdaneta fece sbarcando ad Acapulco nell’ottobre del 1565. Fu il primo a riuscirvi, sfruttando la Kuroshivo, sorta di Corrente del Golfo che corre da Taiwan sino al centro del Pacifico settentrionale bordeggiando il Giappone.
Il successo del viaggio fu grandissimo e accolto con sentita soddisfazione in Spagna e Messico. La “Rotta di Urdaneta”, come fu chiamata da quel momento, consentì di istituire il primo vero traffico commerciale globalizzato tra Asia, America ed Europa con Manila e Città del Messico a fungere da hub di partenza, arrivo e smistamento delle merci. L’epopea del “Galeone di Manila” era iniziata: un vero e proprio container dell’epoca che viaggiava dalla capitale Filippina ad Acapulco e viceversa che durò per circa 250 anni dal 1570 al 1815 circa. In Messico si imbarcava l’argento delle miniere americane per spedirlo a Manila dove era atteso dai cinesi, che ne richiedevano in gran quantità per il loro contante in Patria; dalla città filippina il galeone ripartiva carico di sete, vasellame, statue e spezie cinesi che venivano smistate e selezionate nei mercati di Città del Messico e da qui imbarcate per la vecchia Europa. Manila divenne la prima città del mondo a ospitare una chinatown di circa diecimila abitanti impegnati nei commerci e nei servizi connessi, oltre a divenire, assieme alla capitale del Vicereame del Messico, una vera e propria realtà globale. Le cronache dei viaggiatori secenteschi traboccano di descrizioni meravigliate dei mercati e del porto della città dove si incontrano italiani, portoghesi, francesi, olandesi, cinesi, indiani, arabi, inglesi, tutti a trafficare tra loro e con le loro mercanzie e si può immaginare quali scintille di cultura, lingua, costumi, sapori scoccassero lì in mezzo a colorare ulteriormente la capitale dell’impero spagnolo in Asia.
L’epopea del Galeone di Manila condita da naufragi, assalti dei corsari inglesi, spettacolari trasporti oltre ogni immaginazione, costituirà una delle fonti di maggior ricchezza di Manila e di Città del Messico e consoliderà il legame tra queste due realtà lontanissime ma che, grazie alla comune cultura ispanica, veicoleranno idee, cultura e genti fra sudest asiatico e centroamerica in un proficuo e luminoso scambio pre-globalizzazione i cui riverberi si possono scorgere ancora oggi. Le stesse grandi navi che solcavano l’oceano erano costruite nei cantieri navali di Cavite, a sud di Manila, dove veniva impiegato il teak delle foreste locali. Per assemblare la Trinidad, uno dei galeoni più grandi mai costruiti per la traversata, oltre 50 metri di bastimento, fu necessario abbattere 5.000 alberi. Nella seconda metà del XIX secolo anche le Filippine vennero investite dalle spinte autonomiste che soffiavano un po’ dappertutto nelle colonie spagnole ma fu necessario l’intervento decisivo degli Stati Uniti nel 1898 per liberarsi del secolare dominio di Madrid e fondare la Repubblica delle Filippine, ovviamente sotto l’ala protettiva dell’ingombrante tutore nordamericano. All’alba del XX secolo Manila è una media realtà di 200.000 abitanti e la presenza americana sino alla seconda guerra mondiale ne rinvigorisce la vita sociale ed economica intensificando i rapporti con la costa est degli Stati Uniti, con l’Australia e col Giappone.
Alla vigilia della guerra gli abitanti sono oltre 600.000 ma l’invasione giapponese e la successiva riconquista statunitense porteranno ai tragici avvenimenti che culmineranno nel ‘44 col Massacro di Manila, circa 100.000 civili uccisi dai nipponici e la quasi totale distruzione della città. La Manila del dopoguerra si risolleva in fretta raggiungendo entro gli anni ’50 il milione di abitanti ma la città coloniale non esiste più. Oggi la capitale delle Filippine non è altro che un piccolo cuore di 40 kmq e 1.850.000 abitanti al centro di una conurbazione di 8.000 kmq (l’Umbria) e 28 milioni di abitanti. E’ la città con la più alta densità al mondo – circa 45.000 abitanti/kmq – probabile concausa degli squilibri sociali che la caratterizzano con circa il 30% della sua popolazione ben al di sotto della soglia di povertà. E’ paradossale che l’antico quartiere di Tondo che costituiva il nucleo primigenio della città in cui sbarcarono gli spagnoli in quel lontano 1565, sia oggi ridotto alla baraccopoli più disastrata del Paese.
Manila comunque offre anche un volto moderno ed efficiente, calandosi per bene nel suo ruolo di capitale di una delle economie più vitali del pianeta, in perfetto traino delle tigri del sudest asiatico – Corea, Taiwan, Singapore e Vietnam – e ovviamente Cina. Nel nuovo secolo, dove il centro dell’economia mondiale si è spostato dall’Atlantico al Pacifico, condivide con megalopoli del calibro di Canton-Hong Kong, Ho Chi Minh City e Kuala Lumpur il dinamico e frenetico Mar Cinese Meridionale e Manila, testa di ponte verso l’altra costa del pacifico, non dimentica che nel suo dna è sempre accompagnata da quel mitico Galeone, che la spinse in alto, molto in alto, fino al ruolo di prima global city della Storia…