L’economia globale riserva sempre delle sorprese. Tra luci e ombre, ricchezze strabilianti e povertà estreme, avanza a ritmo frenetico travolgendo certezze e luoghi comuni. Uno per tutti: per ridurre i costi, le imprese dell’Occidente scelgono in gran parte di spostarsi in Oriente, dove la manodopera è a buon mercato e l’ambiente socio-politico favorisce abbondantemente l’afflusso di capitali stranieri, tagliando tasse e vincoli burocratici. E’ un fenomeno che conosciamo da decenni, che i sindacati dei Paesi sviluppati hanno cercato invano di fermare o di arginare. Anche gli Usa, faro del capitalismo internazionale, ne sono stati pesantemente colpiti. Milioni di posti di lavoro sono andati perduti. L’elezione di Trump si spiegherebbe anche in forza della rabbia sociale che è scaturita dalla crescente disoccupazione. Ma ora sembra partita un’inversione di tendenza. La Cina – udite, udite! – avrebbe iniziato a delocalizzare. Il via lo ha dato un imprenditore miliardario cinese, Cao Dewang, che ha deciso di spostare il suo stabilimento in America, per un semplicissimo motivo, lo stesso che ha spinto tanti imprenditori americani ed europei a fare il contrario: tagliare i costi. La notizia l’ha data il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. Nell’intervista, Cao, che possiede una azienda per la produzione del vetro, sostiene che le tasse applicate da Pechino al suo business siano del 35% più alte rispetto a quelle che paga negli Stati Uniti. Di conseguenza, il suo gruppo, la Fuyao Glass, ha investito oltre un miliardo di dollari per aprire una linea di produzione a Dayton, in Ohio, dando lavoro a 2.000 persone, che a breve dovrebbero diventare 3.000. La Fuyao ha rimesso in moto una ex fabbrica di General Motors ferma dal 2008. Cao sostiene che i prezzi in Cina siano aumentati moltissimo negli ultimi anni: rispetto a solo quattro anni fa gli stipendi sono triplicati, i costi delle materie prime saliti e anche quelli dei trasporti. Così molte aziende si stanno spostando nel sudest asiatico (Vietnam e Cambogia in prima fila) per cercare di risparmiare. Altri gruppi cinesi invece stanno attraversando il Pacifico per portare la propria produzione negli Stati Uniti. Il Wall Street Journal sostiene che nel 2015 le società cinesi abbiano investito 20 miliardi negli Usa, una cifra enorme se paragonata ai valori prossimi allo zero del 2006.