L’indagine condotta nel 2017 con il sistema Statistics on Income and Living Conditions, mostra come in Italia il reddito netto medio annuo per famiglia, esclusi gli affitti figurativi, sia stato pari a 30.595 euro, circa 2.550 euro mensili (+2,0% in termini nominali e +2,1% in termini di potere d’acquisto rispetto al 2015; nel 2016 la variazione dei prezzi al consumo, invece, è stata pari a -0,1%). La crescita ha interessato tutte le fasce di reddito, ma è stata più accentuata nella quota pari ad un quinto di famiglie meno abbienti, dopo il marcato calo del 2015. Al netto degli affitti figurativi, si stima quindi che il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco e quello del 20% più povero si sia ridotto da 6,3 a 5,9, pur rimanendo al di sopra dei livelli pre-crisi (nel 2007 era 5,2). Vediamo che nel Belpaese la metà delle famiglie residenti ha percepito un reddito netto non superiore a 25.091 euro l’anno (circa 2.090 euro al mese; +2,3% rispetto al 2015). L’entrata mediana è cresciuta in tutte le ripartizioni: da +0,6% del Nord-ovest a +3,9% del Nord-est.
Per quanto riguarda l’aliquota del prelievo fiscale sul reddito familiare è stata (mediamente) pari al 19,4%, un dato stabile rispetto al 2015. Le famiglie sostenute da un solo percettore con reddito prevalente da lavoro autonomo hanno riportato, lungo tutta la distribuzione dei redditi, aliquote fiscali inferiori rispetto alle restanti strutture di reddito familiare. Il costo del lavoro dipendente è risultato in media pari a 32.154 euro annui, sostanzialmente stabile rispetto a tre anni fa. Il cuneo fiscale e contributivo si è attestato al 45,7% del costo del lavoro, in lieve calo rispetto agli anni precedenti (46,0% nel 2015, 46,2% nel 2014).
Nel 2016 il lavoro dipendente ha rappresentato in media la fonte di reddito individuale con il livello più elevato: 17.370 euro circa, contro i 15.460 euro per il lavoro autonomo e poco oltre 14.665 euro per i redditi di natura pensionistica. Ma c’è da dire che nelle stime dello scorso anno, il 28,9% delle persone residenti in Italia è risultato a rischio povertà o esclusione sociale (secondo la definizione europea) in miglioramento, seppure poco rispetto al 2016 (30,0%), ma sempre un dato di seria rilevanza. All’interno di questo aggregato è risultato pressoché stabile al 20,3% la percentuale di persone a rischio di povertà (era 20,6% nell’anno precedente) mentre si è ridotto il numero di coloro che hanno vissuto in famiglie gravemente deprivate (10,1% da 12,1%), come pure quello dei soggetti a bassa intensità lavorativa (11,8%, da 12,8%).
Le famiglie con cinque o più componenti, pur registrando un miglioramento, si sono confermate le più vulnerabili al rischio povertà o esclusione sociale (42,7%; era il 43,7% nel 2016). L’indicatore è peggiorato sensibilmente (+5,4 punti percentuali) per le famiglie in altra tipologia (costituite da due o più nuclei familiari). Il Mezzogiorno è risultato ancora l’area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (44,4%), seppur in diminuzione rispetto al 2016 (46,9%). Il rischio si è dimostrato in calo nel Nord-est (16,1% da 17,1%) e, in misura meno ampia nel Nord-ovest (20,7% da 21,0%). Nel Centro la quota è invece rimasta stabile al 25,3%. L’indagine campionaria “Reddito e condizioni di vita” Eu-Silc effettuata lo scorso anno su 22.226 famiglie (48.819 persone) ha rilevato vari indicatori delle condizioni economiche, insieme ai redditi netti familiari e alla condizione lavorativa per mese di calendario riferiti al 2016.
Il sistema Statistics on Income and Living Conditions (Eu-Silc), costituisce una delle principali fonti di dati per i rapporti periodici dell’Unione europea sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei Paesi membri. Gli indicatori previsti dal Regolamento sono incentrati sul reddito e l’esclusione sociale, in un approccio multidimensionale al problema della povertà, con una particolare attenzione agli aspetti di deprivazione materiale. Il nostro Paese partecipa a questo sistema con un’indagine sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie, condotta ogni anno a partire dal 2004, fornendo statistiche sia a livello trasversale (per monitorare le variazioni a livello aggregato), sia longitudinale (per misurare i cambiamenti a livello individuale su un periodo di più anni) e tali da assicurare stime a livello regionale.