Nel 2020 operano in Italia 2.391 gestori di servizi idrici, 161 in meno rispetto al 2018, ma la gestione è ancora fortemente frammentata. Nel 2020 sono erogati ogni giorno per gli usi autorizzati 215 litri di acqua potabile per abitante nelle reti comunali di distribuzione. Nel 2021 sono adottate misure di razionamento dell’acqua in 15 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana (erano 11 nel 2020), due anche nel Centro-Nord. Nel 2020, 6,7 milioni di residenti non sono allacciati alla rete fognaria pubblica.
L’acqua e l’insieme dei servizi a essa correlati, elementi fondamentali per la sostenibilità ambientale, il benessere dei cittadini e la crescita economica, sono inclusi negli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il Goal 6 “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie” e il Goal 14 “Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile” sono tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goals, SDGs) quelli più direttamente legati al tema dell’acqua. Per la natura integrata e indivisibile degli obiettivi l’acqua trova spazio anche in altri Goals, tra questi il Goal 13 “Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze”. La salvaguardia delle risorse idriche e la gestione efficace, efficiente e sostenibile dei servizi idrici rientrano inoltre tra gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Per la Giornata mondiale dell’acqua, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo, l’Istat pubblica un focus tematico che fornisce una lettura delle statistiche sulle acque con riferimento ai diversi aspetti legati al territorio e alla popolazione, integrando i risultati provenienti da diverse indagini, elaborazioni e analisi prodotte dall’Istituto.
Ancora frammentata la gestione del servizio idrico in alcune aree del Paese
Nel corso del 2020 i gestori dei servizi idrici per uso civile sono 2.391: 1.997 gestori in economia (83,5%), ovvero enti locali, e 394 gestori specializzati (16,5%). Proseguendo la progressiva diminuzione in atto sin dal 1994, anno della riforma che ha avviato il servizio idrico integrato (i gestori erano 7.826 nel 1999), rispetto al 2018 il numero dei gestori si riduce di 161 unità, a seguito delle trasformazioni gestionali che hanno interessato alcuni territori, tra cui le province di Como, Varese e Rieti. Persiste una spiccata parcellizzazione gestionale, per l’incompleta attuazione della riforma, soprattutto in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e nelle province autonome di Bolzano/Bozen e Trento. L’approvvigionamento di acqua per uso potabile è gestito da 1.619 enti (-95 sul 2018), l’80,1% dei quali opera in economia (1.297). Le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile sono gestite da 1.965 enti (-123). Nell’85,1% dei casi si tratta di gestori in economia (1.673) e nel 14,9% di gestori specializzati (292). La fognatura comunale, gestita da 2.131 enti (-132), è il servizio idrico con il più alto numero di gestori e in cui si ha la maggiore quota di operatori in economia (1.946, pari al 91,3%). La depurazione delle acque reflue urbane è il servizio con il minor numero di enti gestori: 1.377 nel 2020 (-74), che per l’83,5% sono gestori in economia (1.150) e 16,5% gestori specializzati (227).
Italia ancora in testa tra i Paesi Ue nei prelievi per uso potabile
Il volume di acqua per uso potabile prelevato per impieghi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, industriali e agricoli che rientrano nella rete comunale è di 9,19 miliardi di metri cubi nel 2020. Il prelievo giornaliero di 25,1 milioni di metri cubi, pari a 422 litri per abitante, è reso possibile da una capillare rete di approvvigionamento, che si dirama in base all’ubicazione dei corpi idrici, alle esigenze idriche locali, alla performance del servizio e alle condizioni delle infrastrutture di trasporto dell’acqua. Nonostante la riduzione dello 0,4% rispetto al 2018, che prosegue la modesta contrazione dei volumi prelevati già rilevata nella precedente tornata censuaria (Figura 1), l’Italia si conferma, ormai da più di un ventennio, al primo posto tra i Paesi Ue per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce complessivamente prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei. In termini pro capite, l’Italia (155 metri cubi annui per abitante) si colloca in seconda posizione, preceduta solo dalla Grecia (158) e seguita a netta distanza da Bulgaria (118) e Croazia (113). Il maggiore prelievo di acqua per uso potabile avviene nel distretto idrografico del Fiume Po: 2,80 miliardi di metri cubi, pari al 30,5% del totale nazionale. Seguono, in misura pressoché proporzionale al territorio, gli altri distretti idrografici. Tra le regioni, in Lombardia si preleva il maggior volume di acqua per uso potabile (1,44 miliardi di metri cubi; 15,6% del totale nazionale). Quantitativi consistenti sono captati anche nel Lazio (1,15 miliardi di metri cubi; il 12,5%) e in Campania (0,90 miliardi; il 9,8%). I volumi regionali pro capite, strettamente legati alla disponibilità della risorsa, hanno un range molto ampio: dai 115 litri per abitante al giorno della Puglia ai 2.133 del Molise. Gli scambi idrici interregionali, soprattutto nel Sud Italia, garantiscono l’approvvigionamento dei territori in cui le risorse interne non sono sufficienti a soddisfare la richiesta idropotabile. Una parte dei prelievi di Basilicata e Molise, al netto delle dispersioni in adduzione, confluisce nelle regioni confinanti.
Acque sotterranee, la risorsa più grande e preziosa per l’uso potabile
Nel 2020 l’85% circa del prelievo deriva da acque sotterranee (48,9% da pozzo e 35,8% da sorgente), il 16,1% da acque superficiali (9,6% da bacino artificiale, 5,0% da corso d’acqua superficiale e 0,5% da lago naturale) e il restante 0,1% da acque marine o salmastre. Le fonti d’acqua sotterranea costituiscono la modalità di approvvigionamento prevalente in Italia, con quote superiori al 75% in tutti i distretti idrografici, ad eccezione della Sardegna, dove poco meno del 22% del prelievo deriva da sorgente o pozzo. I distretti Appennino centrale e Alpi orientali utilizzano fonti sotterranee per oltre il 95% dei prelievi effettuati sul loro territorio. L’utilizzo idropotabile di acque superficiali è prevalente nel distretto della Sardegna, soprattutto per i prelievi da bacino artificiale che incidono sul 77,8% del volume complessivo. In percentuale molto più bassa, ma più consistente in volume, è lo sfruttamento di bacini artificiali nei distretti Appennino meridionale (15,9%), in particolare in Basilicata (80,8% del volume regionale), e Sicilia (15,2%).
Più di un quarto del prelievo idrico annuo nel trimestre luglio-settembre
Il prelievo maggiore avviene durante l’estate, nel trimestre luglio-settembre: 2,4 miliardi di metri cubi (26,4% del totale annuo). Alcuni pozzi sono usati come riserve estive, soprattutto nelle aree a forte vocazione turistica, dove il normale approvvigionamento non consentirebbe una regolare distribuzione. Nella stagione estiva aumenta anche lo sfruttamento a fini idropotabili dei corsi d’acqua e, in particolare per il distretto del Fiume Po, delle derivazioni da lago naturale. Anche lo sfruttamento delle acque marine o salmastre a fini idropotabili si accentua in estate, con il 31,8% del prelievo tra luglio e settembre, essendo funzionale al soddisfacimento della domanda idrica delle isole minori, soprattutto dell’arcipelago siciliano, dovuta al maggiore afflusso turistico.
Circa un terzo dell’acqua prelevata sottoposta a trattamento di potabilizzazione
Per garantire la qualità dell’acqua fino al rubinetto, il 27,9% dei volumi prelevati nel 2020 è sottoposto alla potabilizzazione per la rimozione delle sostanze contaminanti (come nel caso della filtrazione) e il restante 72,1% alla disinfezione o non subisce alcun trattamento. I casi di totale assenza di trattamento sono sporadici, generalmente associati a sorgenti di alta quota o a pozzi utilizzati a pieno regime, dove la qualità dell’acqua è buona ed è immessa direttamente in distribuzione, senza serbatoi di accumulo. Data la migliore qualità delle acque sorgentizie, dei 3,29 miliardi di metri cubi prelevati a scopo idropotabile appena il 3,0% è sottoposto a potabilizzazione. Lo sfruttamento delle sorgenti prevale nei distretti idrografici Appennino centrale (71% circa del volume) e Appennino meridionale (45,6%). Dei 4,50 miliardi di metri cubi di acqua prelevati dai pozzi, tipo principale di approvvigionamento, poco meno di un quarto (24,5%) è potabilizzato. Nel distretto del Fiume Po, soprattutto nell’area della pianura padana, si concentra il 41,9% del volume prelevato da pozzi e la maggiore quota di volumi potabilizzati. L’acqua prelevata da corsi d’acqua superficiali (459,2 milioni di metri cubi) è prevalentemente sottoposta a trattamento di potabilizzazione (92,0%). Questi prelievi prevalgono, in termini di incidenza, nel distretto Appennino settentrionale (18,7% del volume prelevato) e, in termini di volume, nel distretto del fiume Po. Frequente la potabilizzazione anche per i prelievi da lago naturale, quasi totalmente localizzati nel distretto idrografico del Fiume Po: dei 42,0 milioni di metri cubi prelevati, il 96,6% è sottoposto a trattamenti di potabilizzazione (tranne una piccola quota trattata con la disinfezione). Le acque marine o salmastre prelevate a scopo idropotabile, che ammontano a 11,1 milioni di metri cubi, (0,1% del totale prelevato), sono completamente sottoposte a trattamento di potabilizzazione. La riduzione del volume di acqua, a causa del processo di desalinizzazione, è piuttosto elevata, restando disponibile per le successive fasi di adduzione e distribuzione circa il 40% della risorsa prelevata. Le regioni con la maggior quota di acqua sottoposta a trattamenti di potabilizzazione sono Basilicata (80,9%) e Sardegna (79,0%), a causa dei consistenti prelievi da corsi d’acqua e bacini artificiali, ma le quote sono consistenti anche in Puglia (55,1%), Toscana (55,0%) ed Emilia-Romagna (50,0%).
In carico soprattutto a gestori specializzati l’acqua prelevata per uso potabile
I 322 gestori specializzati di fonti di approvvigionamento per uso potabile prelevano il 90,3% del volume complessivo (circa 8,3 miliardi di metri cubi di acqua), in linea con quanto rilevato per il 2018. Nell’83,2% dei casi il prelievo è da fonti sotterranee e nel restante 16,8% da corpi idrici superficiali o acque marine o salmastre. I 1.297 gestori in economia provvedono al prelievo del restante 9,7% del volume complessivo, pari a circa 893 milioni di metri cubi, per la quasi totalità derivato da fonti sotterranee. Sebbene il numero degli enti che si occupano di prelievo sia ancora piuttosto alto, la metà del volume (circa 4,6 miliardi di metri cubi) è prelevata da 23 gestori (1,4% degli enti che si occupano di prelievo). Tra questi, solo un ente opera in economia (Regione Campania). Nel distretto Appennino settentrionale i prelievi sono gestiti quasi completamente da enti specializzati (il 98,5%), con una quota in economia dell’1,5%. Fortemente specializzato il prelievo anche nei distretti Appennino centrale, Sardegna e Fiume Po, con quote in economia comprese tra il 2,2% e il 5,5%. La gestione in economia dei prelievi è più frequente nei distretti idrografici Sicilia (29,0%), Appennino meridionale (15,1%) e Alpi orientali (12,6%). Tra le regioni, i prelievi gestiti in economia incidono soprattutto in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (79,3% dei volumi prelevati), ma sono rilevanti anche nelle province autonome di Bolzano e Trento (rispettivamente 62,2% e 60,2%) e in Sicilia (29,0%), Molise (25,5%), Calabria (22,5%) e Campania (21,1%). Nelle altre regioni l’incidenza è inferiore al 5%. Soltanto in Umbria i prelievi sono tutti a carico di gestori specializzati.
Poco diffusa la misurazione nelle piccole captazioni e nelle gestioni in economia
L’81,2% del volume prelevato nel 2020, pari a circa 7,4 miliardi di metri cubi, è misurato attraverso idonei strumenti, mentre la quantificazione del restante 19,8% è stimata dai gestori delle fonti per mancanza o malfunzionamento degli strumenti di misura. La diffusione della misurazione è piuttosto variabile sul territorio e strettamente correlata alla tipologia di fonte e di gestione (Figura 3). La misurazione continua delle fonti di approvvigionamento è poco diffusa soprattutto nelle gestioni in economia (incide sul 51,4%, contro l’84,4% nelle gestioni specializzate), nelle sorgenti in alta quota, nelle piccole captazioni e nelle aree ricche di acqua (come le zone dell’arco alpino) dove la risorsa idrica è percepita come abbondante.
Gestione specializzata della distribuzione dell’acqua per otto italiani su dieci
Nel 2020 il servizio di distribuzione dell’acqua potabile è attivo in 7.888 comuni su 7.903, a completa o parziale copertura del territorio, garantendo gli usi idrici di popolazione, piccole imprese, alberghi, uffici, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegate direttamente alla rete urbana, nonché gli usi pubblici (lavaggio strade, acqua di scuole e ospedali, innaffiamento verde, fontanili e antincendio). 15 comuni sono totalmente sprovvisti del servizio: vi risiedono circa 65mila persone (0,1% della popolazione) che ricorrono a forme di autoapprovvigionamento, attraverso pozzi privati. Dove è attivo il servizio di distribuzione dell’acqua potabile, in più di quattro comuni su cinque (79,6%) operano gestori specializzati, in poco meno di uno su cinque (19,4%) gestori in economia e nei restanti rari casi gestioni miste (quando enti in economia e specializzati operano su aree differenti del territorio comunale), concentrati soprattutto nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen e in quella di Catania. A livello regionale, la gestione specializzata del servizio di distribuzione copre interamente l’Umbria ed è molto presente anche in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Basilicata ed Emilia-Romagna. Di contro, quasi tutte le gestioni sono in economia in Molise, con una forte componente anche in Calabria, nelle province autonome di Bolzano/Bozen e Trento e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. In termini quantitativi, la gestione risulta fortemente specializzata, incidendo sull’87% circa del volume complessivamente movimentato; il restante 13% è gestito in economia. Con riferimento alla popolazione servita, l’83,7% dei residenti in Italia al 31 dicembre 2020 vive in comuni in cui la gestione del servizio di distribuzione è affidata a enti specializzati (ci possono essere parti del territorio non servite dalla rete pubblica). L’assetto gestionale del servizio è significativamente variegato tra i distretti idrografici, con una netta demarcazione territoriale che vede nei distretti dell’area centrale e meridionale ancora un’accentuata presenza di gestioni in economia.
Acqua erogata agli utenti finali poco più della metà del volume prelevato
Il volume di acqua prelevato per uso potabile, al netto dei volumi addotti all’ingrosso per usi non civili (agricoltura e industria), si riduce all’ingresso del sistema di distribuzione per le dispersioni nella rete di adduzione. Nel 2020, sono immessi nelle reti comunali di distribuzione 8,1 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile (373 litri per abitante al giorno). I volumi giornalieri pro capite immessi in rete variano molto a livello regionale: dai 274 litri giornalieri per abitante in Puglia ai 576 della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,7 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati (215 litri per abitante al giorno), comprendenti sia i volumi fatturati agli utenti finali sia quelli forniti a uso gratuito. Complessivamente il volume erogato è il 51,0% del volume prelevato.
Erogazione dell’acqua più elevata nei comuni del Nord
L’erogazione giornaliera pro capite è mediamente più elevata nei comuni del Nord, con il massimo nel Nord-ovest (253 litri per abitante al giorno), che presenta una forte variabilità regionale e valori che vanno dai 234 litri per abitante al giorno del Piemonte ai 438 della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (regione con il valore più alto). La diffusione dei fontanili, soprattutto nelle aree montane, può dar luogo a erogazioni considerevoli e spiega i valori sensibilmente più alti dei volumi pro capite. Nella ripartizione delle Isole è erogato in media il minore volume di acqua (186 litri per abitante al giorno), anche se i valori regionali più bassi dell’indicatore si osservano in Umbria (166) e Puglia (155). Anche a livello di distretto idrografico ci sono importanti differenze nei volumi movimentati giornalmente dalle reti di distribuzione dell’acqua potabile, che in molti casi ricalcano quanto visto anche a livello regionale. Il distretto idrografico del Fiume Po, con 241 litri per abitante al giorno, si contraddistingue per il maggior volume di acqua erogata pro capite, mentre il distretto della Sicilia (181) per il più basso. L’erogazione giornaliera pro capite è massima nella provincia di Aosta (438 litri per abitante al giorno), seguita dalla provincia autonoma di Trento (343) e la città metropolitana di Milano (311) Di contro, è minima nella provincia di Enna (116 litri per abitante al giorno), con valori inferiori ai 130 litri anche nelle province di Caltanissetta (125), Agrigento (127) e Arezzo (128).
Maggiore il consumo pro capite di acqua nei comuni più grandi
Il volume erogato pro capite aumenta al crescere della popolazione: si passa dai 208 litri per abitante al giorno nei comuni con popolazione uguale o inferiore a 50mila abitanti, ai 229 nei comuni con più di 50mila abitanti, fino ai 259 litri nei comuni con più di 250mila abitanti. Il maggiore consumo di acqua nei comuni più grandi è collegato a una maggiore concentrazione, sul territorio, di usi extra residenziali (per motivi di turismo, lavoro, servizi, studio e salute), più frequenti che nei comuni medio-piccoli. Volumi erogati pro capite mediamente più alti anche nei comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana: 236 litri per abitante al giorno (+21 litri sul dato nazionale).
Ancora elevate le perdite idriche nelle reti comunali di distribuzione
Nel 2020, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua, calcolato come differenza tra i volumi immessi in rete e i volumi erogati, è pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,2% dell’acqua immessa in rete. In riferimento all’acqua prelevata dalle fonti di approvvigionamento, le perdite idriche totali in distribuzione rappresentano una quota pari al 37,2%.
In distribuzione persa l’acqua necessaria al fabbisogno di 43 milioni di persone
Nel 2020, rispetto al 2018, i volumi complessivi movimentati nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile diminuiscono di circa un punto percentuale, mentre le perdite in distribuzione (42,2%) non presentano variazioni significative (erano al 42,0%), confermando ancora lo stato di inefficienza di molte reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile. Le perdite rappresentano uno dei principali problemi per una gestione efficiente e sostenibile dei sistemi di approvvigionamento idrico e, benché molti gestori del servizio idrico abbiano avviato iniziative per garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi, la quantità di acqua dispersa in rete continua a rappresentare un volume cospicuo, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2020 soddisferebbe le esigenze idriche di oltre 43 milioni di persone per un intero anno.
Ingenti le perdite idriche nelle aree del Centro e del Mezzogiorno
Sebbene le perdite abbiano un andamento molto variabile, le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono la consolidata geografia di un gradiente Nord-Sud, con le situazioni più critiche concentrate nelle aree del Centro e Mezzogiorno, ricadenti nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare. I valori più alti si rilevano, nel 2020, nei distretti Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%), seguiti dai distretti Appennino meridionale (48,7%) e Appennino centrale (47,3%). Nel distretto del Fiume Po l’indicatore raggiunge, invece, il valore minimo, pari al 31,8% del volume immesso in rete; l’indicatore risulta di poco inferiore al dato nazionale nei distretti Alpi orientali (41,3%) e Appennino Settentrionale (41,1%). In nove regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al 45%, con i valori più alti in Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno un livello di perdite inferiore a quello nazionale, ad eccezione del Veneto (43,2%); il FriuliVenezia Giulia, con il 42,0%, è in linea con il dato nazionale. In Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste si registra il valore minimo (23,9%), seppur in aumento di circa due punti percentuali rispetto al 2018. In circa una regione su quattro le perdite sono inferiori al 35% (Figura 6). Circa una provincia/città metropolitana su due ha perdite idriche totali in distribuzione superiori al dato nazionale. Si perde almeno il 55% del volume immesso in rete in 20 province che, ad eccezione delle province di Belluno e La Spezia, sono localizzate nel Centro e nel Mezzogiorno. Nelle Isole l’87% circa della popolazione risiede in province con perdite pari ad almeno il 45%, contro il 4% del Nord-ovest.
In un comune su quattro persa oltre la metà dell’acqua immessa in distribuzione
Più della metà dei comuni italiani (57,3%) ha perdite idriche totali in distribuzione uguali o superiori al 35% dei volumi immessi in rete. Perdite ingenti, pari ad almeno il 55%, interessano il 25,5% dei comuni. In meno di un comune su quattro (23,8%) le perdite sono inferiori al 25% (Figura 7). Grande è la variabilità a livello territoriale. Il distretto del Fiume Po si contraddistingue per la maggiore quota di comuni con perdite contenute (il 54,5% ha perdite inferiori al 35%) e per la minore con perdite molto alte (12,4% ha perdite uguali o superiori al 55%). Di contro, perdite uguali o superiori al 45% si registrano in più della metà dei comuni dei distretti Appennino centrale, Appennino meridionale (che detiene la quota più alta, 41,6%, di comuni con perdite pari ad almeno il 55,0%) e Sardegna. Nei 109 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, dove i gestori spesso concentrano maggiori investimenti e migliori monitoraggi, la situazione infrastrutturale è nel complesso migliore: 36,2% di perdite totali in distribuzione (sei punti percentuali meno del dato nazionale e circa un punto in meno rispetto al dato registrato nel 2018).
Il razionamento dell’acqua arriva al Nord
Nel 2021, 15 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana hanno attuato misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, segnando un incremento rispetto al 2020 (+4 comuni). Non più esclusiva prerogativa dei capoluoghi del Mezzogiorno, il razionamento coinvolge anche un capoluogo del Nord (non accadeva dal 2010), Verona, e uno del Centro (dal 2018), Prato. In questi capoluoghi, nei mesi estivi, le amministrazioni hanno disposto azioni di riduzione dell’erogazione idrica. L’adozione di misure restrittive nell’erogazione idrica è legata alla obsolescenza dell’infrastruttura, soprattutto nel Mezzogiorno, a problemi di qualità dell’acqua per il consumo umano e ai sempre più frequenti episodi di riduzione della portata delle fonti di approvvigionamento, a causa del cambiamento climatico, che rendono insufficiente la disponibilità della risorsa idrica in alcune aree del territorio.
A Chieti, Agrigento e Trapani le misure più restrittive di erogazione dell’acqua
Nel 2021 misure di razionamento sono adottate in quasi tutti i capoluoghi della Sicilia (tranne Messina e Siracusa), in tre della Calabria (Reggio di Calabria, Cosenza e Crotone), in uno della Campania (Avellino), due dell’Abruzzo (Chieti e Pescara), uno della Toscana (Prato) e uno del Veneto (Verona). In tre capoluoghi le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile sono state estese a tutto il territorio comunale: Verona e Prato, con una riduzione dell’erogazione solo in alcune ore della giornata, specialmente nelle ore notturne o nelle prime ore mattutine dei mesi estivi, rispettivamente per 55 e 61 giorni; Cosenza, dove la misura è stata adottata tutti i giorni dell’anno, per fascia oraria e a giorni alterni. L’adozione di misure di razionamento solo per una parte del territorio comunale invece ha coinvolto 12 capoluoghi (+5 sul 2020), tutti situati nel Mezzogiorno, risultando più che raddoppiati sia il numero di giorni, sia la percentuale della popolazione residente coinvolta (dall’1,3% al 2,8%). Nel dettaglio, le misure restrittive hanno interessato circa 485mila residenti, soprattutto della Sicilia (16,7% della popolazione residente nei capoluoghi della regione). Le situazioni più critiche si sono verificate a Chieti, Agrigento e Trapani, con la sospensione o riduzione dell’acqua in quasi tutti i giorni dell’anno, con turni diversi di erogazione estesi a quasi tutti i residenti. A Enna e Reggio di Calabria si è fatto ricorso, solo in alcune zone della città, alla riduzione dell’acqua rispettivamente per 365 e 75 giorni interessando circa la metà dei residenti. A Caltanissetta e Pescara, il 62,4% e il 21,9% dei residenti è stato sottoposto a razionamenti, rispettivamente per 61 e 141 giorni. A Catania la distribuzione dell’acqua è stata sospesa a circa 17.400 persone per 14 giorni nell’arco dell’anno, interessando il 5,8% dei residenti (0,3% nel 2020). A Ragusa, invece, è stata ridotta per 60 giorni e sospesa per 15, per fascia oraria a circa 10.000 persone (13,8% dei residenti). A Palermo si sono verificate turnazioni in alcuni distretti dove la rete idrica è particolarmente vetusta per 183 giorni interessando l’8,8% dei residenti, mentre Avellino e Crotone hanno avuto una sospensione solo per 12 giorni che ha coinvolto, rispettivamente il 76% e il 67% della popolazione.
Quasi sette milioni i residenti non allacciati alla rete fognaria pubblica
Si stima che nel 2020 circa nove abitanti su dieci (88,7% dei residenti) sono allacciati alla rete fognaria pubblica (Figura 8), indipendentemente dalla disponibilità di impianti di trattamento successivi. I residenti non allacciati sono, nel complesso, 6,7 milioni. Il servizio è completamente assente in 40 comuni, dove risiedono 386mila abitanti (0,7% della popolazione), situati soprattutto in Sicilia (25 comuni); in questi comuni ogni edificio è generalmente dotato di sistemi autonomi di smaltimento dei reflui, mentre in alcuni casi la rete fognaria è presente ma non in esercizio, poiché non ancora collegata a un depuratore.
Gestione del servizio fognario in economia ancora per un comune su quattro
Nel 2020 il servizio pubblico di fognatura comunale, garantito da 2.131 gestori (1.946 in economia), è attivo nel 99,5% dei comuni, a copertura completa o parziale del territorio. Dove presente, non sempre la rete fognaria si estende però a tutto il territorio comunale (aree con case sparse, zone montane o difficilmente raggiungibili e comuni in cui la rete, di recente attivazione, non serve tutta la popolazione). Al 31 dicembre 2020, nel 76,0% dei comuni in cui il servizio è attivo operano gestori specializzati nel 76,0%, nel 24,0% in economia e nel restante 0,1% è presente una gestione mista (presenza di gestori sia in economia sia specializzati che operano su parti diverse del territorio). In termini demografici, le gestioni specializzate servono l’86,7% della popolazione italiana. L’Umbria è l’unica regione in cui il servizio pubblico di fognatura comunale è totalmente a carico di gestori specializzati. In Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Basilicata i servizi sono quasi completamente a gestione specializzata. Di contro, la gestione in economia è prevalente in Molise, Calabria, Valle d’Aosta e provincia autonoma di Bolzano.
Soprattutto nel Mezzogiorno i comuni del tutto privi di servizio di depurazione
Il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane è assente in 296 comuni (3,7%), dato in calo rispetto al 2018 (-13%), dove risiedono 1,3 milioni di abitanti. Il 67,9% di questi comuni (201) è localizzato nel Mezzogiorno (soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, coinvolgendo rispettivamente il 13,1%, 5,3% e 4,4% della popolazione). In questi comuni in diversi casi sono presenti gli impianti, ma risultano inattivi poiché sotto sequestro, in corso di ammodernamento o in costruzione. Sono comuni con ampiezza demografica medio/piccola, nel 74,3% dei casi localizzati in zone rurali o scarsamente popolate. 67 comuni si trovano in zone costiere, per lo più in Sicilia (35), Calabria (15) e Campania (7), dove risiedono circa 500mila abitanti. Sono solo due i comuni privi del servizio di depurazione con più di 50mila abitanti residenti, ubicati nelle province di Napoli e Catania
Nel Nord-ovest più di un terzo degli impianti di depurazione dei reflui urbani
Nel 2020, gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio sul territorio nazionale sono 18.042 (circa 100 unità in meno rispetto al 2018) e depurano il 96,3% dei comuni in maniera completa o parziale, tranne Campione d’Italia servito da impianti ubicati fuori dai confini italiani. Il 56,3% degli impianti effettua trattamenti di tipo primario o vasca Imhoff, il restante 43,7% almeno secondario. In Piemonte si concentra il numero maggiore di impianti (22,0% del totale); seguono Emilia-Romagna (11,2%), Abruzzo (8,8%) e Lombardia (8,5%), con oltre la metà del parco depuratori regionale rappresentato da impianti primari e vasche Imhoff. In Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Emilia-Romagna e Umbria il servizio pubblico di depurazione è presente e attivo in tutti i comuni. La copertura, in termini di popolazione residente servita, è ancora molto diversificata sul territorio; in particolare in aree scarsamente popolate e lontane dal centro urbano è molto frequente la presenza di forme autonome di raccolta e trattamento dei reflui urbani.
In calo la precipitazione nelle principali città
Cambiamenti del clima, accompagnati da eventi estremi a crescente intensità, stanno interessando con impatti rilevanti anche le città italiane che presentano un’elevata concentrazione di persone, edifici, infrastrutture, attività economiche e patrimonio artistico. Considerati i 24 comuni capoluogo di regione e città metropolitana, il 2021 (insieme a 2020 e 2017) si presenta come uno degli anni meno piovosi dell’ultimo decennio osservato, con una precipitazione totale di circa 718,8 mm, in calo di 74,8 millimetri rispetto al corrispondente valore medio del decennio 2006-2015. Sono 20 le città nelle quali si rileva una diminuzione, più alta per Bologna (-311,4 mm), Trieste (-261,4), Milano (-238,0) e Venezia (-218,7) (Figura 11). Essendo disponibili per i capoluoghi di regione serie ampie e complete di dati, l’anomalia di precipitazione del 2021 viene calcolata rispetto al valore climatico del trentennio 1971-2010 (Normale Climatologica CLINO) e risulta in media pari a -55,8 millimetri. Anomalie negative si registrano in 12 città, molto significative per Trieste e Venezia (-320,0 mm), Bologna (-306,3) e Milano (-296,6). Per ogni città vengono calcolati Indici di estremi meteoclimatici – definiti dall’Organizzazione Mondiale della Meteorologia delle Nazioni Unite – confrontati con i valori climatici dei periodi di riferimento. Nel 2021, in media fra le 24 città osservate l’indice giorni con pioggia registra una flessione di cinque giorni rispetto al corrispondente valore del decennio 2006-2015 (81 giorni). Considerando i soli capoluoghi di regione, i giorni senza pioggia aumentano di due unità rispetto al valore climatico 1971-2000. Sono 13 le città con anomalie positive, più alte per Trento (+39 giorni), Bologna (+18) e Venezia (+16).
Fonte: Istat