Definire cosa sia esattamente l’intelligenza artificiale è un compito arduo. Per il dizionario De Mauro è l’«insieme di studi e tecniche che tendono alla realizzazione di macchine, specialmente calcolatori elettronici, in grado di risolvere problemi e di riprodurre attività proprie dell’intelligenza umana».
Non esiste, però, ancora una definizione universalmente accettata perché l’AI (dall’inglese Artificial Intelligence) è un settore estremamente recente e in fortissima evoluzione. Bellman ( 1978), per esempio, la considera «l’automazione di attività che associamo al pensiero umano» come «il prendere decisioni, la risoluzione automatica di problemi, l’apprendimento… », mentre per Knight (1991) si tratterebbe dello «studio delle facoltà mentali mediante l’uso di modelli computazionali». O, Stubblefield (1993) che la identifica con «la branca dell’informatica che riguarda l’automazione di comportamenti intelligenti».
Su questo campo l’Ue ha deciso di puntare massicciamente presentando un maxipacchetto da 2 miliardi di fondi per i prossimi 2 anni e investendo sul riutilizzo dei grandi dati. E’ infatti l’ultimo treno per cercare di agganciare Usa e Cina nella corsa allo sviluppo dell’economia digitale dei prossimi anni, legata all’Internet delle cose e che spazierà dall’industria ai trasporti sino all’energia e alla cybersicurezza.
“Dobbiamo investire almeno 20 miliardi entro il 2020, e oggi la Commissione sta facendo la sua parte”, ha dichiarato il vicepresidente per il mercato unico digitale Andrus Ansip. A ricercatori e imprese arriveranno 1,5 miliardi dal programma Horizon 2020 e 500 milioni dal Piano Juncker.
Il nuovo pacchetto Ue sull’intelligenza artificiale prevede misure di tre tipi. Primo, quelle economiche, con investimenti Ue pari a 2 miliardi in meno di due anni e l’intenzione di dedicare risorse molto più consistenti nel prossimo bilancio Ue post 2020, con l’obiettivo di spingere anche stati membri e privati a contribuire in modo sostanzioso. Viene inoltre proposta una legislazione ‘amica’ dell’economia dei dati che facilita l’accesso e il riutilizzo a basso costo dei grandi dati (non quelli personali) nei settori scientifico, industriale, dei trasporti, energetico e sanitario. In quest’ultimo settore, l’obiettivo è facilitare anche la vita del paziente, non solo fornendogli la possibilità di cure più personalizzate ma anche di accedere alla propria cartella clinica online e anche da un altro Paese Ue, così come alle ricette mediche.
Secondo, misure di tipo sociale: la parola d’ordine è formazione, per assicurare la transizione di lavoratori già occupati e preparare allo stesso tempo le nuove figure professionali, con il lancio di programmi di tirocinio ad hoc in partenariato con le imprese e finanziati dal Fondo sociale europeo. I primi 6mila stage all’estero sono disponibili per i neolaureati nel settore delle nuove tecnologie già dall’estate di quest’anno.
Terzo, fornire un quadro legale che assicuri lo sviluppo e l’utilizzo etico dell’intelligenza artificiale dei grandi dati – la privacy essendo già garantita dalle nuove rigide norme Ue che entreranno in vigore il 25 maggio -, con la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc e nuove norme anche a tutela dei consumatori che arriveranno entro metà 2019. Le cifre sulla corsa all’intelligenza artificiale, infatti, parlano chiaro: gli investimenti privati in Europa (2,4-3,2 miliardi) sono 5-6 volte inferiori a quelli negli Usa (12,1-18,6 miliardi) e tre volte in meno che in Asia (6,5-9,7 miliardi), mentre a livello pubblico gli Usa hanno già investito 1 miliardo nel 2016 solo in progetti non classificati e la Cina 1,7 miliardi in un unico parco tecnologico.