La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 10077 del 16 aprile 2025, ha chiarito un importante aspetto procedurale in materia di espropriazione per pubblico interesse e, in particolare, sull’acquisizione sanante di un immobile da parte della Pubblica Amministrazione.
La questione Il nodo della controversia riguardava l’applicabilità o meno del termine perentorio e breve previsto per l’opposizione alla stima definitiva dell’indennità di esproprio (art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 327/2001 e art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150/2011) anche alla contestazione dell’indennizzo stabilito nel provvedimento di acquisizione adottato ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, la cosiddetta “acquisizione sanante”.
La decisione della Cassazione La Suprema Corte ha stabilito che il termine perentorio non è applicabile alla contestazione della liquidazione dell’indennizzo contenuta nel decreto di acquisizione.
Il cittadino, quindi, ha la facoltà di contestare in sede giudiziale la liquidazione dell’indennizzo e chiederne una diversa determinazione entro il termine ordinario di prescrizione, che è ben più lungo rispetto a quello breve (solitamente 30 giorni) previsto per l’opposizione alla stima di esproprio.
Le motivazioni I Giudici hanno motivato la decisione sottolineando che l’art. 29 del d.lgs. n. 150/2011, pur essendo successivo, non fa alcun esplicito riferimento all’art. 42-bis.
Secondo la Cassazione, non sono consentite interpretazioni estensive e analogiche quando si tratta di norme che limitano l’esercizio del diritto di azione del cittadino, come appunto i termini di decadenza. Pur riconoscendo la comune natura indennitaria delle somme dovute, che giustifica la competenza della Corte d’Appello, la Corte ha specificato che questo non può superare la diversità strutturale tra il procedimento amministrativo di esproprio e quello di acquisizione sanante.
In sintesi: l’opposizione all’indennizzo dell’acquisizione forzata (art. 42-bis) non è soggetta al termine breve, ma a quello ordinario di prescrizione.