Nel nostro Paese le iniziative di accoglienza dal basso presentano la seguente distribuzione geografica: 25 al Nord, 28 al Centro e 9 al Sud. La maggior parte di esse (53) hanno portata locale, 7 fanno invece parte di un’iniziativa più ampia a carattere nazionale e 2 operano in una dimensione regionale. Contenuto in linea di massima il budget che le alimenta: quarantuno su 62 svolgono le attività con meno di 25 mila euro l’anno. I fondi per il loro funzionamento provengono essenzialmente da privati, da fundraising e raccolta fondi gestita da volontari, ma in 15 casi le community building ricevono sostegno parziale e totale da fondi pubblici. Il numero dei beneficiari è molto variabile, ma la maggior parte dei migranti coinvolti sono richiedenti o titolari di protezione internazionale. Per la maggior parte si tratta di giovani nella fascia di età 19-25 anni. Le nazionalità più rappresentate sono il Mali, la Nigeria, il Gambia, il Pakistan e l’Afghanistan e l’Eritrea.
Il 37% delle iniziative mappate svolge soprattutto “attività interculturali”. Sono 15 le iniziative che riguardano la sfera del tempo libero e delle attività ricreative: sport, escursioni, musica, cucina e analoghe occasioni che offrono a volontari e migranti l’opportunità di trascorrere del tempo insieme, accomunati da una passione o da un interesse. Il 22,5% delle iniziative è poi in qualche modo connesso con l’apprendimento della lingua italiana. Declinate con modalità estremamente varia, ad esempio in famiglia, in istituti religiosi, in appartamenti indipendenti o in strutture dedicate, il 19% delle iniziative offre esperienze di convivenza volte a facilitare la creazione di relazioni positive con il territorio. “I risultati della ricerca I Get you – spiega il Centro Astalli, partner italiano della ricerca – mostrano che le iniziative di community building incoraggiano incontri tra i cittadini e i migranti forzati e promuovono modelli originali di collaborazione tra cittadini e autorità locali”. “La dimensione dell’incontro – dice in proposito padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – è un cardine della costruzione della comunità, perché finché io sento numeri e vedo immagini che non mi toccano personalmente non vengo coinvolto. Ma quando io incontro una persona, la guardo, sento la sua storia costruisco qualcosa con lei, questo cambia anche il modo di pormi nei suoi confronti”. Di iniziative del genere, in Italia, secondo padre Ripamonti, “c’è molto bisogno. Quando si parla di immigrazione siamo abituati a declinarla ormai in senso negativo invece sentire parlare di costruzione di comunità è molto importante per creare un clima più sereno e pacificante. La via non è contrapporre le parti, ma camminare insieme”.
Cinque esperienze italiane che sono state segnalate nella ricerca come pratiche particolarmente interessanti di community building, tra queste: Casa dei Venti, un progetto comune di Laboratorio 53 e Servizio Civile Internazionale; Tandem, un progetto di Ciac Onlus, Parma; Arte Migrante un network nazionale di iniziative per promuovere l’inclusione sociale attraverso l’arte e l’esperienza fatta a Palermo, Casa Scalabrini 634 a Roma, un’esperienza di accoglienza in semiautonomia che fa parte del programma Comunità di ospitalità del Centro Astalli.
La creazione d’iniziative di community building è legata alla presenza dei rifugiati nelle comunità locali. Negli ultimi 3 anni in Italia il numero di territori coinvolti nell’accoglienza dei migranti forzati è cresciuto, poiché nel momento in cui le persone arrivano nei porti del Sud, vengono smistate e distribuite in tutte le regioni italiane. La sfida dell’accoglienza e dell’integrazione è una questione molto dibattuta, che contribuisce a dividere l’opinione pubblica. La ricerca di I Get You ha mostrato che l’accoglienza funziona meglio quando è organizzata in piccoli centri e le strutture non sono isolate, ma ben collegate o ancor meglio all’interno delle aree urbane. Ciò consente alla società civile di interagire direttamente con i migranti. La creazione di relazioni personali è il modo migliore per prevenire l’ostilità e la diffidenza e, allo stesso tempo, agevola un’integrazione più veloce.