Anche la Cina deve fare i conti con la crisi globale: nel 2017 l’economia crescerà intorno al 6,5%, (dopo un +6,7% nel 2016) che rappresenta il tasso di espansione del Pil più basso dal 1990 . Le strategie cinesi forse più note sono il go global e l’accelerating go-out. A livello nazionale, i cinesi hanno adottato un modello di sviluppo sostanzialmente basato su investimenti in 3 settori: fabbriche, infrastrutture (autostrade, aeroporti ecc.) e case. Tali investimenti spesso ( soprattutto per colpa delle multinazionali) hanno comportato un elevato costo in termini ambientali: inquinamento, distruzione di risorse naturali, avvelenamento di falde acquifere ecc. Non a caso, i Programmi di risanamento ambientale sono, oggi, tra le priorità della Cina. L’inquinamento dell’ambiente resta grave, soprattutto a livello atmosferico, sempre più frequente in alcune regioni, il che dimostra che dobbiamo prendere misure più efficaci – ha sottolineato Li – “migliorare rapidamente la qualità dell’ambiente, soprattutto quella dell’aria, è un esigenza di tutto il popolo. Dobbiamo risolvere i sintomi e la radice del problema perché dobbiamo ritrovare un cielo blu”. Finita la fase dell’industrializzazione veloce (in cui servivano capitali esteri e know-how), anche il business cerca oramai qualità e innovazione. La graduale sofisticatizzazione della produzione lascia oramai poco spazio a prodotti basati solo su prezzi competitivi. I salari stanno aumentando. E il bussiness (quando non rientra in Paesi di origine) sta delocalizzando dalla Cina in paesi dove il costo del lavoro è più basso (v. Vietnam e Bangladesh – nel 2012 – con i salari più bassi rispettivamente di 50 e 37 dollari contro i 175 in Cina). Tuttavia, permangono tuttora forti disuguaglianze (tra province, tra centri urbani, tra aree rurali, ecc.). Alla marcata riduzione della povertà non ha fatto seguito un sostanziale riequilibrio nella distribuzione dei redditi. Anche se la Cina esporta massicciamente, i cinesi non sempre si arricchiscono e questo fa sì che la domanda che la Cina esercita verso il resto del mondo è molto ridotta in rapporto al suo peso mondiale. D’altra parte, la Cina teme “la trappola del medio reddito” che – per i paesi emergenti – descrive le economie che si impantanano nella stagnazione, quando il reddito pro-capite raggiunge un livello medio (quello cinese – nel 2012 – era a 6,188 dollari, valore critico). Intanto, i maggiori istituti di ricerca economica mondiale prevedono che nel 2030 il 60% del Pil mondiale sarà prodotto dalle tigri asiatiche, e in grandissima parte, dalla Cina: a quell’epoca 220 milioni di suoi abitanti avranno raggiunto un livello di reddito almeno pari a quello dei Paesi occidentali, e la Cina sarà di gran lunga il primo mercato mondiale.
Allora che fare? Innalzare un muro di protezionismo? O definire – piuttosto – poche regole certe e condivise, rispettate da ambo le parti?
Le relazioni tra l’Unione europea e la Cina sono andate ampliandosi e approfondendosi in questi ultimi anni. Dopo il loro congelamento nel 1989 (l’anno degli eventi di piazza Tiananmen, e cioè, della violenta soppressione di un pacifico movimento di protesta che provocò sdegno e tensioni) – fermo restando l’embargo sulla vendita delle armi – dalla metà degli anni ’90 l’Unione europea ha rilanciato il dialogo con la Repubblica popolare cinese. La Commissione europea promette aiuti ai rifugiati tibetani e allo stesso tempo si avvia verso la normalizzazione delle relazioni con la Cina. Successivamente, alla Commissione europea a guida Barroso, il Consiglio Affari esteri del’UE ha affidato il mandato di avviare – in nome dell’UE – un negoziato per un Accordo su commercio e investimenti, europei in Cina e cinesi in Europa (negoziato tuttora in corso). L’allora Parlamento europeo (uscente) adottò una Risoluzione che fissava paletti abbastanza rigorosi: riequilibrio dell’enorme surplus commerciale della Cina con l’Ue; rispetto dei diritti umani da parte delle aziende produttrici cinesi; allentamento delle restrizioni che oggi pesano sulle esportazioni europee in Cina, ecc..
Attualmente, l’Agenda Strategica di Cooperazione 2020 ricopre più aree: pace e sicurezza, prosperità, sviluppo sostenibile e scambi people-to-people. Relazioni bilaterali sono condotte – al più alto livello – attraverso il Vertice annuale UE-Cina che serve a far progredire il partenariato strategico Ue-Cina su vari temi. Il 2 giugno 2017, a Bruxelles, c’è stato il 19° vertice tra l’Unione europea e la Repubblica popolare cinese.
L’Unione europea è stata rappresentata dal Presidente Jean-Claude Juncker e il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, accompagnati dall’Alta Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, e dalla Commissaria per il commercio, Cecilia Malmström. La Cina è stata rappresentata dal Premier della Repubblica popolare cinese Li Keqiang, dal Consigliere di Stato Yang Jiechi e dal Ministro degli affari esteri Wang Yi. Il vertice doveva offrire a entrambe le parti l’opportunità di fare il punto su una serie di risultati conseguiti dall’ultimo vertice, di esaminare le modalità per incentivare la cooperazione e di trattare questioni di interesse reciproco. Ci si attendeva esiti importanti, sul fronte in particolare dei cambiamenti climatici e dell’energia verde ma anche della cooperazione doganale, della concorrenza, delle indicazioni geografiche, della proprietà intellettuale, della collaborazione in progetti di ricerca e innovazione, del turismo, della facilitazione degli investimenti, della crescita blu e della cooperazione in materia di energia.
Alla sua conclusione, Tusk non ha nascosto le preoccupazioni europee relative al rispetto dei diritti umani e delle minoranze, ma ha sottolineato anche l’importanza di ribadire i punti di convergenza. Durante la riunione, sono stati realizzati una decina di pre-accordi settoriali di cooperazione, e in particolare è stato avviato il reciproco riconoscimento di un centinaio di prodotti alimentari con indicazione geografica protetta .(fra i quali, diversi italiani). Grazie all’intesa sulla protezione delle indicazioni geografiche, un centinaio di indicazioni geografiche europee saranno protette in Cina e viceversa. Attraverso un prossimo Accordo bilaterale, l’obiettivo è di contrastare le frodi. Tra i prodotti europei che faranno parte della lista ci sono il gorgonzola, la birra bavarese, la feta greca, il queso manchego, lo champagne e la polska wodka. La cooperazione sulle indicazioni geografiche è cominciata una decina di anni fa e ha già portato alla protezione di 10 prodotti per ogni parte.
Circa il cambiamento climatico, a dispetto della grande importanza riservata alla questione climatica, il risultato del vertice è stato offuscato. C’era intesa sul testo relativo al clima, ma i nodi commerciali hanno bloccato il suo via libera. Cina e Unione europea hanno riaffermato esplicitamente il loro impegno comune ma, per il secondo anno consecutivo, non c’è stata la Dichiarazione comune finale, cui era allegato il Testo dedicato proprio alla riconferma degli impegni sul clima. A creare dissidio – ha ricordato il premier Li in conferenza stampa – è l’articolo 15 del Protocollo d’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del Commercio il quale prevede che il paese ottenga lo status di economia di mercato a 15 anni dalla sua adesione.
Cina e Unione europea – unite sull’ambiente contro la decisione di D.Trump nel rivendicare la “comune responsabilità sul futuro del pianeta e delle prossime generazioni” – hanno confermato il loro impegno comune nel voler fornire una risposta all’instabilità della congiuntura internazionale, e al “grave errore” dell’uscita degli USA dagli Accordi di Parigi. In teoria, l’Unione europea e la Cina si impegnano a ridurre l’impiego di combustibili fossili, a sviluppare ulteriormente le tecnologie verdi e a finanziare un fondo annuale di novanta miliardi di euro entro il 2020, al fine di supportare i paesi più poveri a ridurre i loro tassi di emissioni di gas a effetto serra. La difesa dell’ambiente continuerà «con o senza gli Stati Uniti» ha affermato J.C. Juncker. E dello stesso avviso è stato il premier cinese Li Keqiang: «Le relazioni tra la Cina e l’Unione devono rimanere stabili e consolidarsi per rispondere all’instabilità di questo mondo. Ciò richiede uno sforzo instancabile da parte nostra».
La risposta all’isolazionismo americano sul versante ambientale non ha però sanato imbarazzanti differenze sul versante economico e commerciale (che hanno impedito la firma della Dichiarazione comune) tra cui c’è lo status di economia di mercato della Cina nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). UE e USA rifiutano di accordare tale status alla Cina poiché esso consentirebbe l’elusione della normativa antidumping, e provocherebbe una riduzione delle difese europee nei confronti della Cina. Poiché non c’è accordo sul concedere lo status a Pechino , la Commissione ha proposto una alternativa: il suo progetto (ora in discussione nel Consiglio e al Parlamento europeo) prevede misure di difesa economica che superino la dicotomia tra economia di mercato ed economia non di mercato, e mettano invece l’accento sulla presenza o meno di sussidi pubblici nell’economia (v. Il Sole/24 Ore – 4 maggio).
Le divergenze in materia di commercio riguardano i livelli di sovrapproduzione e di esportazioni – spesso a prezzi molto competitivi (soprattutto nel settore dell’acciaio) – raggiunti dalla Cina; e gli aiuti di Stato. La Cina, da un lato, è un enorme mercato in forte crescita (impossibile da ignorare), d’altro lato è un Paese che usa la mano pubblica per aiutare le sue imprese ad espandersi all’estero. Il presidente Tusk – una volta definito la riunione «la più promettente» nella storia dei rapporti Cina-UE – ha precisato «abbiamo però bisogno di più tempo per trovare un accordo su alcune questioni». Le parti – per facilitare rapporti che sia Bruxelles che Pechino considerano importanti – hanno deciso di costituire un Gruppo di lavoro per studiare l’annosa questione degli aiuti di Stato nell’economia.
Gli europei si lamentano anche della chiusura dell’economia cinese: secondo un rapporto della Banca mondiale, la Cina è al 78mo posto su 190 per la libertà dell’attività economica. Il presidente della Commissione europea J.C. Juncker si è lamentato di «una differenza di trattamento» nel modo in cui le imprese europee sono trattate in Cina, e quelle cinese sono considerate in Europa. Il comunicato congiunto doveva altresì contenere la promessa di cooperare per ridurre la produzione d acciaio (per cui – da tempo – l’Ue accusa la Cina di comportamenti anticoncorrenziali e di attuare un “dumping”).