In materia fallimentare, stante il definitivo riconoscimento dell’ICI e dell’IMU, come di tutti i tributi locali, quali crediti privilegiati, possono ben applicarsi i principi di riconoscimento della debenza da tempo individuati dalla Corte di Cassazione.
La Corte, con la sentenza 24 ottobre 2005 n. 20575, ha affermato il principio secondo cui gli immobili compresi nel fallimento sono regolarmente soggetti all’ICI e nessuna variazione interessa la modalità di calcolo della base imponibile. L’obbligo della dichiarazione e del pagamento sorge, in capo al curatore, soltanto nel momento della vendita del bene (con decorrenza del periodo dei tre mesi dalla data del decreto di trasferimento), non avendo alcun obbligo in precedenza. Per i giudici di Piazza Cavour, il fabbricato che ricade nel fallimento non è un bene escluso o esente né un bene per il quale è utilizzabile un criterio diverso di determinazione della base imponibile anche perché la (scarna) normativa prevista in tema di ICI e fallimento è quella dell’art. 10, comma 6 D.lgs. n. 504 del 1992 che è espressamente rubricato Versamenti e dichiarazioni e risulta quindi applicabile l’unico principio fissato dal legislatore che è quello dei criteri fissati all’art. 5 – rubricato Base imponibile. Il riferimento, nel comma 6 dell’art. 10, al prezzo di vendita deve essere interpretato, secondo il pensiero condivisibile della Suprema Corte, alla luce della particolare fattispecie astratta, il fallimento, ed ha una portata molto limitata riguardando solo la fase esecutiva ed attuativa del tributo ICI e non incidendo sulla fase precedente della determinazione della base imponibile.
La condizione del fallito-proprietario dell’immobile ha rilevanza, quindi, ai fini dell’ICI, solo in quanto la riscossione sia rinviata al momento in cui sarà riscosso il prezzo di vendita del bene mentre non comporta alcuna variazione dei criteri per la determinazione della base imponibile. Fino all’esistenza dell’ICI quindi non sussisteva alcun problema sul fatto che gli importi riversati dalle curatele fallimentari all’Ente locale successivi alle vendite degli immobili oggetto di imposizione fossero di esclusiva pertinenza del Comune.
Con D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 (articoli 7, 8 e 9) fu introdotta l’imposta municipale propria (IMU) che avrebbe dovuto sostituire l’ICI a partire dal 2014 ma, con con D.L. Del 6 dicembre 2011 poi convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011 , ne fu anticipata di due anni l’applicazione, estendendola anche alle abitazioni principali.
A partire dal 1° gennaio 2013, l’art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l’anno 2013) ha introdotto significative novità alla disciplina dell’imposta municipale propria (IMU.), anticipata, in via sperimentale, come detto, dall’art. 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Il citato comma 380 dell’art. 1 della legge di stabilità per l’anno 2013 alla:
– lett. a) ha soppresso la riserva allo Stato della quota di imposta, di cui al comma 111 dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, tale comma è stato conseguentemente abrogato dalla successiva lett. h) del medesimo comma 380;
– lett. f) ha riservato allo Stato il gettito dell’I.M.U., derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D (immobili a destinazione speciale), calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011.
A seguito del ricevimento degli importi da parte della procedura fallimentare quindi L’IMU dunque deve essere riversata dal Comune interamente allo stato, per quanto concerne i fabbricati di categoria D calcolata con l’aliquota di base dello 7,6 per mille dall’anno 2013 CODICE TRIBUTO 3925.
Per quanto concerne la annualità 2012 l’IMU per quanto concerne i fabbricati di categoria D dovrà essere riversata dal comune allo Stato con l’aliquota base del 3,8 per mille con CODICI TRIBUTO 3915 – 3917 – 3919.