Il divario generazionale è una delle cause del divario digitale. Sono passati 50 anni da quando la Rete ha fatto la sua comparsa sullo scenario globale. E ora dall’Internet of Things – anima tecnologica delle smart city – si guarda all’Internet of Everything, la dimensione dell’interconnessione totale, di tutto con tutto… La magia digitale sta affascinando e affabulando il mondo, mentre lo trasforma nel profondo, eppure nel Vecchio Continente 4 occupati su 10 non hanno competenze digitali. Sono i paradossi di un progresso galoppante che non dà tregua, specialmente agli anziani. Lo ha acclarato il convegno ‘Security by design’, organizzato a Roma presso lo Spazio Europa, basandosi su uno studio del Joint Research Centre sull’impatto della tecnologia sui mercati del lavoro, pubblicato dalla Commissione Ue.
Il dato più grave riguarda le imprese: sono appena 28 su 100.000 quelle che fanno uso di tecnologia per l’Intelligenza Artificiale. L’Italia, poi, è ai livelli più bassi con meno di 10 aziende ogni 100 mila. “Numeri impressionanti – commenta Mauro Nicastri, componente dell’Agenzia per l’Italia Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e presidente di Aidr (Associazione italian digital revolution) – e vanno di pari passo con la mancata attenzione politica al digitale: in Italia, manca la formazione per stare al passo con il resto del mondo. Il Governo nella legge di Stabilità non mette un euro sulle politiche in materia d’istruzione per rafforzare le competenze digitali e la cultura della sicurezza”.
Un gap importante che fa da contraltare all’impetuosa avanzata della rivoluzione digitale che sta rendendo presente il futuro. “A essere connessi fra loro non saranno solo dispositivi ma ogni cosa, a partire dalle persone e da ogni dato salvabile in un database: nella rete più grande al mondo tutto e tutti saranno interconnessi – spiega Marco Santarelli, capo-dipartimento di Scienze Sociali e Umane del Politecnico delle Arti applicate alle imprese di Ancona e direttore scientifico di ReS On Network – Per far sì, però, che qualsiasi innovazione digitale funzioni non bisogna dimenticare l’etica. L’uomo – conclude Santarelli – deve essere al centro, altrimenti le tecnologie rischiano di far danno”.