Particolare attenzione ha suscitato la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 6 novembre 2018, concernente l’obbligo per lo Stato Italiano di far pagare l’Ici alla Chiesa fino al 2011 per le attività commerciali svolte negli immobili di proprietà, e di curiosità per le conseguenze che potranno derivarne alla ricerca delle procedure da porre in essere, ove esistano, per il recupero delle somme, compatibilmente con la normativa vigente nel settore della fiscalità locale, trattandosi di tributo di pertinenza dei Comuni. Da considerare che una valutazione del MEF indica in circa cinque miliardi di euro l’ammontare dell’imposta non pagata.
La sentenza è stata emessa in esito al ricorso proposto nel novembre 2016 da un Istituto scolastico e dal gestore di una struttura ricettiva del tipo “bed & breakfast” avverso la pronuncia del Tribunale dell’Unione che, confermando la decisione della Commissione Europea del 2012, aveva ritenuto legittima l’applicazione da parte dello Stato Italiano del principio della “impossibilità di calcolare l’ammontare del tributo e di procedere al recupero”, anche se veniva riconosciuta l’illegalità dell’aiuto di Stato nei confronti della Chiesa e degli atri soggetti beneficiari di tale situazione.
Giova ricordare che la vicenda aveva formato oggetto anche di esame da parte della Cassazione che, nel 2008, aveva giudicato tassabili gli immobili in questione, e il Governo, per porre riparo alla questione, introduceva la esenzione in presenza dello ” svolgimento di attività non esclusivamente commerciali “ e, con l’art. 2 del D.M. del MEF n. 200 del 19 novembre 2012 disponeva che, a decorrere dal primo gennaio 2013, l’esenzione dall’IMU (che sostituiva l’Ici) per le unità immobiliari destinate a una utilizzazione mista, nei casi in cui non sia possibile procedere, ai sensi del comma 2, dell’art. 91 bis del D.L. n. 1/2012, alla individuazione degli immobili o delle porzioni di immobili adibiti esclusivamente allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali, si dovesse procedere con criteri di proporzionalità secondo le modalità ed i requisiti dettati nello stesso D.M. n.200/2012.
La Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 6 novembre 2018, n. C622.16-P.aC.624/16Pa, ha dichiarato in primo luogo la ricevibilità del ricorso in quanto la decisione del Tribunale costituisce un ATTO REGOLAMENTARE NON LEGISLATIVO DI PORTATA GENERALE, come tale impugnabile secondo i principi del Trattato UE. Ha poi emesso il proprio verdetto in ordine alla questione di fondo, concernente la possibilità di recupero da parte dell’Italia delle somme riguardanti il regime di esenzione ICI agli enti non commerciali, in considerazione della riconosciuta natura di AIUTO DI STATO a tale agevolazione.
L’Organismo di giustizia europea ha ricordato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte in materia di inadempienze per violazione di una decisione che ordina il recupero di aiuti illegali, uno Stato membro che incontri difficoltà impreviste o imprevedibili deve sottoporre tali problemi alla valutazione della Corte, proponendo appropriate modifiche della decisione e in tale situazione Commissione e Stato membro debbono cooperare per il superamento delle difficoltà. Pertanto, la condizione di impossibilità assoluta al recupero non è soddisfatta quando lo Stato membro si limiti a comunicare difficoltà interne, di natura giuridica, politica o pratica, e imputabili alle azioni od omissioni che l’esecuzione della decisione presenti, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione modalità alternative.
Nel caso di specie risulta che la sentenza controversa si è limitata a dedurre l’impossibilità assoluta di recuperare gli aiuti illegali dal solo fatto che era impossibile ottenere le informazioni necessarie per il recupero avvalendosi delle banche dati catastali e fiscali italiane, e si è astenuta dall’esaminare l’eventuale esistenza di modalità alternative che consentissero di recuperare anche solo parzialmente detti aiuti. In conclusione, alla luce di tali motivazioni, essendo la sentenza viziata per non avere esaminato minimamente tutte le condizioni richieste anche dalla giurisprudenza della Corte, la sentenza è stata annullata nella parte in cui la Commissione Europea non ha ordinato il recupero degli aiuti illegali concessi sulla base dell’esenzione Ici accordata agli enti non commerciali, tra i quali le istituzioni ecclesiastiche. A questo punto, appare evidente che il giudicato in questione impone alo Stato Italiano d’intervenire per darvi esecuzione, onde evitare l’assoggettamento a una procedura di infrazione i cui oneri finirebbero per ricadere sui cittadini.
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it