Il Consiglio di Stato (Sezione Quinta) ha respinto l’appello presentato dall’associazione di promozione sociale Fiab Cagliari – Ente del Terzo Settore contro il Comune di Cagliari, confermando la legittimità del divieto di incatenare biciclette, ciclomotori o motocicli a infrastrutture pubbliche non specificamente destinate a tale scopo.
La sentenza, pubblicata il 17 settembre 2025 (n. 07353/2025), ha dunque confermato la decisione del TAR Sardegna che aveva ritenuto legittime le disposizioni contenute nel Regolamento di polizia e sicurezza urbana del Comune di Cagliari.
Cosa prevedeva il regolamento
L’associazione aveva contestato l’articolo 19, comma 1, lettera b) del Regolamento comunale, il quale vieta di “incatenare biciclette (…) a infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo”, e il correlato articolo 27, che prevede sanzioni pecuniarie e, in aree circoscritte e in caso di impedimento alla fruizione, l’ordine di allontanamento.
L’associazione appellante sosteneva che il divieto:
- introducesse di fatto un nuovo divieto di sosta per le biciclette, in contrasto con il Codice della Strada (articoli 157 e 158);
- creasse una discriminazione a danno dei ciclisti, considerata la carenza di rastrelliere e la disparità di trattamento rispetto a monopattini e autoveicoli;
- fosse irragionevole e illogico, con un potenziale effetto deflattivo sull’uso della bicicletta e un contrasto con gli obiettivi di mobilità sostenibile (PUMS).
Le motivazioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha rigettato tutte le censure, ritenendo infondate le argomentazioni dell’associazione. Il Collegio ha stabilito i seguenti punti chiave:
- Tutela del decoro, non della sosta: il regolamento non introduce nuove ipotesi di divieto di sosta, ma interviene a tutela di beni giuridici esterni al Codice della Strada: la “vivibilità” e il “decoro urbano”, inteso come il “rispetto della dignità dello spazio urbano”. Il divieto mira a impedire l’uso improprio e lesivo delle infrastrutture pubbliche, come marciapiedi, elementi di arredo urbano, piazze, parchi e recinzioni di monumenti, in cui la sosta dei veicoli è spesso già vietata.
- Nessuna violazione del Codice della Strada: dal divieto di incatenamento non si può inferire un divieto di sosta delle biciclette.
- Insussistenza di disparità: non è ravvisabile una disparità di trattamento tra ciclisti e utenti di altri veicoli, poiché le situazioni messe a confronto non presentano la perfetta identità necessaria per configurare la discriminazione.
- Coerenza con gli obiettivi di mobilità: non esiste un contrasto con gli obiettivi del PUMS, poiché questi ultimi “esprimono obiettivi di carattere generale” che non confliggono con la tutela del decoro urbano, a meno di voler considerare il rischio di furto come una condizione “fisiologica” superiore al bilanciamento con la tutela degli arredi urbani.
- Proporzionalità delle sanzioni: la sanzione più grave e l’ordine di allontanamento si applicano solo in ipotesi specifiche e ben delimitate, ovvero quando l’incatenamento si verifica in zone individuate e costituisce un “impedimento alla fruizione” delle stesse. Non c’è, dunque, un’equazione generalizzata tra l’atto di incatenare e l’impedimento alla fruizione.
In conclusione, la sentenza ha stabilito che la salvaguardia della vivibilità e del decoro della città, attraverso il divieto di utilizzare impropriamente gli elementi di arredo urbano per l’incatenamento delle biciclette, prevale sulle obiezioni sollevate dall’associazione.
Fonte: Consiglio di Stato