La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 25, depositata il 7 marzo 2025, ha affermato che vìola
il principio di uguaglianza la norma che subordina l’acquisto della cittadinanza – per
matrimonio o naturalizzazione – alla conoscenza dell’italiano a livello intermedio per
qualunque straniero, senza eccettuare chi versi in condizioni di oggettiva e
documentata impossibilità di acquisirla in ragione di una disabilità.
E’ stata, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9.1 della legge 5
febbraio 1992, n. 91 «nella parte in cui non esonera dalla prova della conoscenza della
lingua italiana il richiedente [la cittadinanza] affetto da gravi limitazioni alla capacità di
apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da disabilità, attestate
mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica».
Secondo la Corte, è violato, anzitutto, il principio di eguaglianza formale per
trattamento uguale – ingiustificato e irragionevole – di situazioni diverse. Infatti, con
l’imposizione generalizzata del requisito linguistico, il legislatore non ha tenuto conto
della condizione di coloro che, in ragione di determinate menomazioni, versano in
situazione oggettivamente diversa dalla generalità dei richiedenti la cittadinanza.
Ancora, la disciplina uniforme dettata dall’art. 9.1 offende il principio di eguaglianza
nella sua declinazione sostanziale perché frappone, anzi che rimuovere, un ostacolo
all’acquisto dello status di cittadino per tale specifica categoria di persone vulnerabili
e dà luogo ad una loro discriminazione indiretta.
Infine, la Consulta ha ritenuto che la norma sia irragionevole perché contraria al
principio «ad impossibilia nemo tenetur»: il requisito della prova della conoscenza della
lingua a livello intermedio si rivela, infatti, una condizione inesigibile per quegli
stranieri che siano oggettivamente impediti ad apprenderla in ragione di una disabilità.
Fonte: Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale