Oltre che una massima giurisprudenziale da questa sentenza si trae anche un insegnamento di vita: mai rinunciare alle vacanze. Dalla Cassazione, infatti, arriva un giro di vite soprattutto per i dipendenti della pubblica amministrazione che talvolta accumulano giorni di ferie non goduti sperando poi, a volte un po’ furbescamente, di monetizzarli quando vanno in pensione o si trasferiscono da un ramo all’altro del pubblico impiego e intanto riescono lo stesso a usufruire di altre forme di ‘riposo compensativo’.
Per passare all’incasso delle ferie non consumate, non è sufficiente – spiega la Suprema Corte – sostenere la semplice carenza di organico, ma servono documenti circostanziati che dimostrino “eccezionali e motivate esigenze di servizio o cause di forza maggiore” che hanno reso indispensabile la rinuncia alle vacanze, lontano dal lavoro.
La vicenda riguarda un primario di una Ausl che in primo grado aveva ottenuto l’indennizzo ma successivamente la Corte di Appello, con una decisione adesso confermata dai giudici di legittimità, glielo aveva negato affermando che “alla cessazione del rapporto di impiego le ferie residue” possono essere “monetizzate solo quando il mancato godimento sia determinato da effettive e indifferibili esigenze di servizio, formalmente comprovate, o, comunque, a causa di ragioni indipendenti dalla volontà del dirigente”.