Pessime notizie per gli automobilisti multati per violazione dei limiti di velocità: la sentenza 7709 del 2016 della Corte di Cassazione cancella l‘alibi’ forse più diffuso, quello di sperare di farla franca e di non pagare una multa impugnando una sanzione per assenza dell’indicazione dell’autorizzazione sul retro del cartello che imponeva il limite infranto.
Con il pronunciamento del 5 febbraio, pubblicato il 19 aprile dalla Seconda Sezione, la Cassazione confermando un orientamento ormai prevalente, mette un freno al moltiplicarsi dei ricorsi impostati sull’assenza di tale indicazione, pronunciandosi al riguardo con estrema chiarezza. Nella decisione, infatti, si legge: ”l’eventuale mancata apposizione sul retro della segnaletica stradale della indicazione della relativo provvedimento amministrativo regolante la circolazione stradale non determina di per sé l’illegittimità del segnale”.
Sino a oggi sul Web era stato tutto un proliferare di pareri circa la possibilità o meno di poter inoltrare ricorso con speranze di successo. Ora dai giudici di piazza Cavour, con un pronunciamento che non lascia spiragli arriva la parola fine a tante speculazioni che hanno fatto la fortuna di diversi studi legali. Si legge, sempre nella sentenza, non ancora pubblicata sul sito della Cassazione ma già consultabile su alcuni siti specializzati in consulenze: ”In tema di segnaletica stradale, la mancata indicazione, sul retro del segnale verticale di prescrizione, degli estremi della ordinanza di apposizione – come invece imposto dall’art. 77, comma 7, del Regolamento di esecuzione del codice della strada (…) – non determina la illegittimità del segnale e, quindi, non esime l’utente della strada dall’obbligo di rispettarne la prescrizione, con l’ulteriore conseguenza che detta omissione non comporta l’illegittimità del verbale di contestazione dell’infrazione alla condotta da osservare”.
E’ il caso di ricordare che per contestare la legittimità dell’apposizione di un cartello, trattandosi di un atto amministrativo si deve ricorrere al TAR e non al Giudice di Pace.