Fra le tante date topiche della storia recente di Beijing – Pechino ce n’è una particolarmente interessante. Non è l’89 col massacro di Piazza Tienanmen e neppure il 1949 con la presa della città da parte dei comunisti di Mao; non è il ’66 della Rivoluzione Culturale, quando l’esercito dovette schierarsi a protezione della Città Proibita contro l’assalto delle Guardie Rosse e neppure il 2008 delle Olimpiadi, no, niente di tutto questo. La data è il 1981, quando la linea 1 della metropolitana, inaugurata nel 1971 e sino a quel momento l’unica della metropoli, venne finalmente aperta a tutti. Sino a quel momento il suo uso era consentito solo agli alti burocrati del Partito e a pochissimi altri, il resto della cittadinanza era costretto a spostarsi con le eterne biciclette o, stipati come sardine, su vecchi bus a gasolio prodotti in Unione Sovietica.
Tra gli altri citati parrebbe l’avvenimento più insignificante, la semplice abolizione di una norma anacronistica superata dal sopravanzare di nuove esigenze e sensibilità. Conferma invece la secolare tradizione imperiale della capitale cinese che la connota almeno dall’avvento della dinastia Ming alla fine del XIV secolo e che ha sempre visto i suoi cittadini come sudditi sottoposti a un potere soverchiante che “con-cede” e che nessun contraltare borghese, mercantilista o anche nobiliare ha mai scalfito, neppure con l’avvento dell’ultima dinastia, quella dei Segretari del PCC. E’ la metropoli del potere Beijing, monolitico e inscalfibile, contrapposta a grandi città di tradizione commerciale come Canton e Shangai, dove gli stranieri sono sempre stati di casa e i cui influssi, più o meno benefici a seconde delle epoche, si sono sempre fatti sentire.
La moderna Beijing è il risultato della ferrea volontà di Yongle, primo Imperatore Ming, di realizzare qui la definitiva capitale della Cina all’inizio del XV secolo. Per suggellare questa decisione fece edificare in 14 anni (1406-1420) la Città Proibita e negli stessi anni poderose mura che potevano racchiudere una vera e propria metropoli di oltre 2 milioni di abitanti. Ed è in questo momento che compare sulle carte e sui documenti ufficiali in nome Beijing, “Capitale Settentrionale” da contrapporre a Nanjing (Nanchino), “Capitale Meridionale”. Sino ad allora i toponimi utilizzati per identificare le varie città succedutesi nell’area dell’attuale capitale furono Ji sino al VI secolo, Zhongdu sino al XI e Khanbaliq, la “Città del Khan” (la Cambaluc di Marco Polo) sino al XIV secolo con la sconfitta dei Mongoli e la presa del potere da parte dei Ming. La posizione di Beijing rispetto al resto della Cina non è particolarmente favorevole, tutt’altro. Così a settentrione rimase da sempre esposta agli attacchi delle orde mongole – che con Gengis Khan finiranno per conquistarla – o manciù – che la prenderanno nel XVII secolo soppiantando la dinastia Ming; la città aveva però il vantaggio, di cui si accorse appunto Yongle appena divenuto Imperatore, di rimanere maggiormente controllabile rispetto alle continue faide e congiure di palazzo tra i Signori della Guerra del cuore del Paese.
Agli albori del suo regno la capitale era Nanjing ma Yongle la spostò nuovamente a Khanbaliq che ribattezzò Beijing, Capitale del Nord. Già secoli prima altri dominatori si erano accorti della maggiore difendibilità di Ji-Zhongdu rispetto ai nemici interni del Paese ma non mancarono di edificare megalitiche opere difensive anche a nord della città verso i confini con la Mongolia. Nacque così, dal II° secolo a.C, la Grande Muraglia che, nei suoi incredibili 8.000 km di sviluppo costruiti nell’arco di più di millecinquecento anni, sfiora ad appena 80 km l’attuale Beijing. Altra fondamentale infrastruttura che consentì il consolidarsi di Ji-Zhongdu-Khanbaliq e permetter loro di fondersi poi in Beijing fu pensata e costruita a partire dal VI secolo d.C. ovvero il Grande Canale o Canale Imperiale, una via d’acqua artificiale che unì l’area dell’attuale capitale al Fiume Azzurro attraverso opere di giunzione tra i canali costruiti localmente dai vari signori. Ciò consentì il
trasporto di cose e persone in maniera più veloce e diretta tra nord e centro del Paese rendendo meno periferica Zhongdu ma sempre a debita distanza dalle beghe dei piccoli Regni interni.
Come già detto è con la dinastia Ming che Beijing si consacrerà definitivamente come il cuore politico della Cina e nessun’altra città – a parte la piccola parentesi di Nanchino nella prima metà del XX secolo – fu più in grado di porre anche solo in dubbio lo status raggiunto. La costruzione della sontuosa Città Proibita poi collocò Beijing in una sorta di empireo suggellandone la quasi sacralità e inviolabilità per i successivi 500 anni, sino alle soglie del XX secolo. Dove non riuscirono gli sconvolgimenti endogeni – da cui Beijing si era messa al sicuro – riuscirono però quelli esogeni. La presenza sempre più massiccia degli europei dal XIX secolo provocò dei cambiamenti così traumatici
per la Cina che alla fine ne venne travolta la stessa istituzione imperiale. La Guerra dell’Oppio, la grande crescita dei commerci e dunque del peso politico di realtà come Canton, Shangai, Hong Kong e Nanchino, l’ingerenza delle potenze straniere e non ultima la corruzione imperante a tutti gli strati dell’amministrazione pubblica minarono dalle fondamenta la dinastia Qing che venne soppiantata dalla Repubblica nel 1912. Non che i precedenti quaranta fossero stati tranquilli, tutt’altro, ma al crollo dell’Impero seguirono quarant’anni di forti instabilità che portarono all’invasione giapponese e alla guerra civile tra forze nazionaliste e forze comuniste. Beijing, la cui vita sino a quel momento era ruotata per 500 anni esclusivamente attorno alla corte imperiale, visse in maniera forse più traumatica delle altre metropoli questi passaggi epocali della storia del Paese.
Si può notare come dall’invasione giapponese del 1931 alla loro cacciata nel 1945 la popolazione in città passò da 4,5 a 2 milioni di persone residenti, dato che evidenzia l’intensità dei drammi vissuti in questo periodo dal Paese nel suo insieme e da Beijing in particolare in quanto luogo simbolo dell’unità nazionale. Dal 1928 inoltre la capitale venne spostata a Nanchino e qui rimase sino alla presa di Beijing da parte
di Mao nel ’49 che ricollocò la sede del governo nuovamente nella “Capitale Settentrionale”. Con l’ingresso dell’Esercito Popolare il 1° ottobre 1949 dunque Pechino ritrova il suo Imperatore. Mao Zedong, segretario del PCC, riprende in sostanza un filo interrotto nel 1912 con la deposizione dell’ultimo Qing, inizia l’era della dinastia comunista. Se la vita della capitale, per i 500 anni precedenti, era stata improntata al servizio quasi esclusivo della Corte Imperiale, da questo momento sarà votata alla burocrazia tipica dei regimi socialisti ed esposta agli umori dei giochi di palazzo delle varie nomenklature gravitanti attorno al Segretario Generale. Anche l’assetto urbanistico si adatta al grigiore delle metropoli sovietiche, vengono spazzati via moltissimi hutong – storiche case a corte dell’antica Pechino – e sostituite con vialoni asfaltati mentre le periferie si riempiono di scatoloni realizzati in pannelli di cemento armato prefabbricato. La popolazione cresce nuovamente passando dai 2 milioni scarsi del ’50 ai quasi 8 milioni del 1980 ma le infrastrutture latitano tremendamente. Sino all’avvento di Deng Xiaoping (succeduto a Mao nel 1978) l’unica linea della metropolitana – aperta nel 1971 – è utilizzata solo da pochissimi autorizzati e diligentemente evitata dal resto dei pechinesi come legge impone, si può solo immaginare quale inferno sia muoversi in città per un comune cittadino. In fondo la Città Proibita a Beijing non è mai stata smantellata, anzi. E’ Deng a imporre la svolta, a Beijing come al resto della Cina.
Accantonati i dogmatismi ideologici almeno in economia l’imperativo è ora quello di arricchirsi e nel 1981 a uno sbigottito signor Xi, sino a quel momento costretto a estenuanti e chilometrici spostamenti in bicicletta per attraversare mezza città, un bel dì vengono aperte le porte della metropolitana. Sembra passata un’era geologica da quel lontano giorno. Oggi Beijing è tracimata nelle pianure verso l’Hebei e Tiensin sino a occupare una superficie pari a quella del Lazio (17.000 kmq) e contare 30 milioni di abitanti. A fine anni ’80 si è cominciato a progettare e costruire (curiosamente grazie all’aiuto del governo giapponese) una moderna rete metropolitana che al 2022 conta 23 linee
frequentate da milioni di utenti ogni giorno, non solo più dalla nomenklatura del partito Comunista. Ormai la città non è popolata solo da operai e grigi burocrati dell’apparato statale ma – non dappertutto s’intende – si mostra come una scintillante megalopoli futuristica sede di importanti centri di ricerca e multinazionali dell’high-tech. Il motore del primo sviluppo degli anni ’80 ebbe sede nelle miniere della Manciuria che alimentarono l’industria pesante attorno alla capitale; il prezzo in termini di inquinamento dell’aria e delle acque è stato pesantissimo e tutt’oggi, nonostante politiche migliorative introdotte già a partire dalle Olimpiadi del 2008, la battaglia è tutt’altro che vinta.
Il governo – leggi il Partito – spinge ancora sull’acceleratore delle infrastrutture giacché ancora oggi, nonostante gli enormi investimenti fatti, per molte aree attorno alla capitale la vita è un inferno con i padri pensionati costretti ad alzarsi alle cinque del mattino per andare in stazione a prendere il posto per i figli, che li raggiungeranno un’ora e mezza più tardi. Dal 2015 è stato varato un progetto per fondere assieme le aree metropolitane di Beijing e Tianjin (Tiensin) sulla costa, a 100 km circa dalla capitale che, si capisce, per le scale delle città cinesi sono niente. Il prodotto dovrebbe cominciare a prender forma nel 2030 con 16 linee di treni superveloci attive che integrano le due aree in un’unica megametropoli che al 2050 dovrebbe superare i 100 milioni di abitanti con ulteriori 20 linee di treni-missile. E’ già stato costruito un anello autostradale di quasi 1000 km che ingloba Beijing, Tianjin e parte dell’Hebey, la regione che circonda Pechino e che dunque serve un’area di circa 80.000 kmq. L’ambizioso obbiettivo della dirigenza cinese, oltre a quello di bilanciare economicamente le grandi aree metropolitane di Shangai e Canton-Shenzen-Hong Kong, dovrebbe essere quello di stupire il mondo creando una vera e propria capitale planetaria, non a caso nella sede fisica del governo della Repubblica Popolare e del PCC. La recente pandemia di Covid ha
rallentato molti progetti ma le intenzioni di fondo non sono affatto cambiate. La traiettoria di Beijing verso un impressionante futuro parrebbe tracciata, è una sfida tecnologica lanciata a Corea e Giappone e politica a Washington, sperando che la poderosa macchina già in
moto non si inceppi con un sassolino magari raccolto ancora una volta in Piazza Tienanmen.