Fra gli attori che partecipano alla costruzione di un ecosistema di competenze digitali ci sono anche le associazioni di settore. Molto attive allo sviluppo e alla diffusione di competenze sono le associazioni direttamente collegate al macro-settore digitale: Le competenze digitali sono un fattore strategico per la competitività e la qualità della vita, ma in Italia si fa ancora troppo poco per svilupparle nelle imprese, nelle Pubbliche Amministrazioni, nella società. La loro diffusione è a macchia di leopardo, dal 37% negli Enti Locali al 73% nelle aziende tecnologiche (ICT); non mancano buoni laureati, ma il panorama della formazione digitale nelle aziende e nelle Amministrazioni è preoccupante: in media 6,2 giornate l’anno nelle imprese ICT, 4 nel Settore Pubblico e 3 nel grosso delle aziende.
La Trasformazione Digitale, che investe ormai tutti i paesi, impone ai singoli mercati e alle società di adeguarsi, innescando processi virtuosi di innovazione. Ma per farlo occorrono le giuste competenze, che nel nostro Paese in parte ancora mancano, sia per l’assenza di una strategia di lungo periodo che coinvolga aziende e sistema formativo, sia per un digital divide ancora diffuso. È importante reagire con una strategia ambiziosa, che guardi al dialogo tra Istruzione e mondo produttivo, alle reali opportunità di lavoro e di impresa, al superamento dei divari fra territori, generazioni e professioni.
E’ quanto emerge dal convegno organizzato, presso l’Università Bicocca di Milano, in cui le principali associazioni Ict-Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia – insieme al Miur e ad Agid – hanno preso spunto dagli aggiornamenti dell’osservatorio delle competenze digitali per lanciare alcuni messaggi al mondo pubblico e imprenditoriale.
Il tema è quello delle competenze digitali, che oggi sono l’asset strategico per abilitare tutte le potenzialità della trasformazione digitale. Dall’analisi delle offerte di lavoro via web emerge un dato su tutti: il divario fra quanto cercano le aziende e la preparazione professionale di quanti sono in cerca di occupazione. Tanto che, se andiamo avanti così, si avverte, il sistema educativo rischia di preparare solo dei disoccupati. Le offerte di lavoro relative alle nuove professioni digitali emergenti sono cresciute da febbraio 2013 ad aprile 2017 a ritmi del +280%, i big 6 oggi più ricercati sono: data scientist, cloud computing, cyberSecurity expert, business intelligence analyst, big data analyst, social media marketing.
Ma anche nelle professioni non strettamente tecnologiche sale la componente di competenze legate al digitale soprattutto nelle aree Hr, contabilità e marketing. L’altro lato della medaglia riguarda le competenze in area business e le soft skills, che diventano sempre più ricercate in abbinamento con i profili digitali: e su questo punto il divario cresce ancora.
Le trasformazioni in atto, che il mondo politico sta cominciando a cogliere con provvedimenti come Impresa 4.0 e le iniziative del Miur e della funzione pubblica, stanno sempre più delineando la necessità di uscire dagli schemi tradizionali di valutazione e selezione delle figure professionali ‘digitali’ per cogliere il mondo liquido delle competenze trasversali, in cui primeggia la capacità di cogliere e gestire il cambiamento continuo: non ha più senso seguire la moda di una ricerca ‘genetica’ di nuove professioni, occorre cogliere attitudini, versatilità e capacità di collaborazione coniugate con capacità uniche di ‘vivere’ le nuove tecnologie, oltre che ad utilizzarle.
Perché le nuove tecnologie ora abilitano trasformazioni molto più ampie. Nel 2018 i paradigmi che guideranno il cambiamento nelle imprese, in crescita rispetto agli anni precedenti, saranno il mobile (67%), le attività di intelligence e analytics sui Big Data (61%), la cyber security (61%), l’Internet of Things (52%) e trasversale, a tutti i precedenti, il paradigma del cloud computing.
Nel tessuto produttivo italiano, una delle più forti criticità è culturale e legata alle piccole imprese: molte aziende non sanno decodificare le nuove competenze necessarie, molte altre non avrebbero comunque le risorse economiche per attrarle e per assumerle. Ma, ancor più a monte, manca una consapevolezza imprenditoriale della strategicità del fattore digitale.
In questo panorama, Milano – come città tra le più ‘smart’ d’Italia – può fungere da esempio virtuoso di cambiamento dei processi interni all’amministrazione e di diffusione di buone ‘practice’ digitali con la collaborazione del tessuto associativo, economico e sociale sul territorio.
Come ha commentato l’assessore alla Trasformazione digitale, Roberta Cocco, la città sta impegnandosi su alcune sfide epocali: sul fronte interno con l’interoperabilità dei dati fra assessorati e con la riorganizzazione dei processi, sul fronte esterno attraverso una capillare informazione al cittadino sulle possibilità di interazione digitale con la Pubblica Amministrazione. E come è diventata famosa per la Fashion Week, così ora la sfida è che Milano diventi altrettanto famosa per la sua ‘Digital Week’, che sarà il prossimo 15-18 marzo 2018.