Continua l’opera di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana. L’ultimo tassello del puzzle è stato inserito ieri dal Cdm che ha approvato anche il decreto correttivo al Codice dell’Amministrazione Digitale, uno dei Dlgs attuativi della riforma della Pa. Lo ha reso noto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, su Twitter. In particolare il decreto integra e modifica alcune disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale, in conformità a quanto previsto dalla legge delega, «al fine di accelerare l’attuazione dell’agenda digitale europea, dotando cittadini, imprese e amministrazioni di strumenti e servizi idonei a rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale».
Nuovo filo diretto tra la pubblica amministrazione e i cittadini e addio alle spese postali per i Comuni: arriva il domicilio digitale, l’indirizzo elettronico su cui ogni cittadino potrà ricevere ogni tipo di notifica e comunicazione, comprese le multe.
Le cartoline colorate, dunque, lasciate nella buca delle lettere che ci comunicano la tentata consegna di una raccomandata o di un atto giudiziario da parte di qualche ente pubblico, con conseguente divinazione su quello che significano, sono più vicine all’estinzione. Certo, le grane dei cittadini non scompariranno allo stesso modo, ma almeno si potranno gestire online, riducendo i pellegrinaggi negli uffici e la corrispondenza cartacea. È l’intento che sta dietro all’idea del domicilio digitale, progetto a lungo auspicato su cui il governo ha infine dato un’accelerata. Infatti il Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad), ovvero l’insieme delle norme che dovrebbero regolare e incentivare il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, e che risale al 2005, ha visto l’ennesimo restyling. Ma cosa significa, in concreto, la rivoluzione in arrivo? Che ogni cittadino, associazione o ente avrà il diritto di scegliersi un domicilio digitale a un qualsiasi indirizzo di posta elettronica certificata o equivalente, dove potrà e dovrà ricevere anche ogni comunicazione avente valore legale della pubblica amministrazione.
Oggi professionisti e imprese dispongono già di un domicilio digitale. Le nuove norme puntano a includere anche il resto della popolazione, che ancora riceve comunicazioni legali solo tramite una raccomandata all’indirizzo di residenza. Con tutti i disguidi che ne possono seguire. Domani, invece, ci sarà prova digitale dell’invio e della ricezione. Ma come avverrà concretamente il processo di inclusione? «Verrà creato un registro dei domicili digitali delle persone fisiche da parte di Infocamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane, dove singoli cittadini potranno andare, registrarsi e inserire il loro indirizzo di posta certificata», spiega a ‘La Stampa’ Guido Scorza, responsabile Affari regolamentari del Team per la Trasformazione Digitale della presidenza del Consiglio, che con il ministero della Pubblica Amministrazione e l’Agenzia per l’Italia Digitale ha lavorato ai correttivi. «A quel punto se sei una pubblica amministrazione dovrai scrivere a quell’indirizzo. E gli indirizzi dovranno essere usati solo per questo scopo». In pratica una volta che singoli cittadini decideranno, su base volontaria, di iscriversi al registro, le amministrazioni dovranno adeguarsi. Scorza azzarda anche una previsione per il lancio della piattaforma: primavera 2018. Il domicilio digitale era già previsto dal Codice, ma era agganciato alla nascita di un’Anagrafe nazionale della popolazione residente, il progetto di unificazione delle varie anagrafi territoriali. Che però richiede ancora tempo. Allora si è deciso intanto di sganciarlo e creare un registro apposito.
Tra le altre correzioni incluse, anche l’istituzione di un unico difensore civico digitale che sostituirà analoghe figure che dovevano nascere in tutte le amministrazioni statali ma che non hanno mai visto la luce. Il difensore dovrà agevolare l’attuazione dei diritti previsti dal Codice. Però potrà esercitare solo una moral suasion, un’opera di convincimento, sull’ente specifico.
E poi c’è il tema del riutilizzo di software da parte della Pa. «Le norme ora prevedono che si dovrà pubblicare tutto il software su cui la pubblica amministrazione dispone dei diritti in un unico sito, con descrizione, codice, licenza e documentazione», spiega Scorza. E gli enti pubblici dovranno verificare l’esistenza di prodotti già adatti alle loro esigenze prima di commissionarne di nuovi.