Il 15 maggio a Palazzo Montecitorio, il Presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli ha presentato il “Rapporto Annuale 2024. La situazione del Paese”. I dati evidenziati dal Rapporto riportano una fotografia del Paese che vede l’economia italiana dell’ultimo triennio cresciuta più della media dell’Ue27 e di Francia e Germania, alla crescita si è associato il buon andamento del mercato del lavoro. Dalla seconda metà del 2021, l’Italia si è confrontata con l’ascesa dei prezzi originata dalle materie prime importate, seguita da un processo di raffreddamento rafforzatosi nel 2023. L’episodio inflazionistico ha avuto effetti differenziati sulle imprese e sulle famiglie, con le retribuzioni che non hanno tenuto il passo dell’inflazione riducendo il potere di acquisto delle fasce di popolazione meno abbienti.
Il sistema produttivo, la Pubblica Amministrazione e gli individui hanno mostrato progressi significativi nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, ma permangono alcune criticità nello sviluppo delle competenze digitali. Dal punto di vista economico negli ultimi 20 anni, l’Italia ha difeso il posizionamento come paese esportatore, ma la concorrenza delle economie emergenti ha messo in crisi una parte delle industrie su cui si basava la specializzazione nazionale, che si è modificata. D’altra parte, la lentezza nello sviluppo delle attività terziarie intense in conoscenza, oltre che in una debole dinamica delle esportazioni di servizi, si è riflessa in una dipendenza dall’estero; di conseguenza la crescita dell’attività economica e della produttività del lavoro sono state deboli, rispetto alle economie europee.
Il territorio, con le sue specificità economiche, demografiche, sociali e culturali rappresenta un momento di sintesi delle trasformazioni in atto evidenziando potenzialità e vincoli a livello locale. Nell’ultimo decennio la popolazione diminuisce di 1 mln. ed è il Mezzogiorno a subire il calo maggiore, le previsioni demografiche indicano un rafforzamento della tendenza allo spopolamento delle aree economicamente meno attrattive e all’invecchiamento. In prospettiva, saranno i più giovani e la popolazione a diminuire, mentre crescerà in misura consistente la popolazione in età avanzata, soprattutto al Centro-Nord; mentre nel Mezzogiorno il fenomeno è già in atto poiché la denatalità si associa da tempo alla ripresa dei flussi migratori. La transizione demografica è avvenuta in parallelo a una crescita della popolazione nelle città, si prospettano centri urbani affollati di residenti di over 65 e ciò comporta un’attenzione speciale affinché i grandi centri urbani possano essere laboratori in cui ridefinire spazi per invecchiare bene. La forza economica rappresenta una chiave di lettura dei divari territoriali, le diverse misure in quest’ambito mostrano il permanere degli squilibri tra Nord e Sud del Paese, negli ultimi 20 anni non vi è stata l’auspicata convergenza verso la media Ue27 nell’ambito delle politiche di coesione, ma in molti casi il divario si è ampliato e solo dal 2019 si è osservato un parziale recupero.
Passando a una rapida panoramica del contesto territoriale, in particolare divari demografici, infrastrutture e servizi, nell’ultimo decennio (2012-2023) la popolazione è diminuita di 1 mln. (-1,8 %), le regioni del Mezzogiorno hanno subito un declino demografico (-4,7 %), variazione dovuta alle migrazioni interne, a fronte di una perdita del Centro-Nord (-0,3 %). Fra il 2002 e il 2012 la popolazione residente è cresciuta di 3 mln. in prevalenza al Centro-Nord (1 milione nel Nord-ovest), grazie a un saldo migratorio positivo, trainato dalla componente estera e dal Mezzogiorno, dove Molise, Basilicata e Calabria hanno registrato una perdita di popolazione tra il 2 e il 3%. Dal 2012, l’indice di vecchiaia è aumentato di 44,7 punti (+61,4 dal 2002), a 193, la differenza massima si ha in Sardegna (88,3 punti), dove la popolazione è tra le più longeve d’Italia e con la fecondità più bassa, di conseguenza le previsioni demografiche indicano una tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento, entro il 1° gennaio 2042, la popolazione potrebbe ridursi di 3 mln. e in 50 anni (1° gennaio 2072) di 8,6 mln. Il tema dell’accessibilità alle infrastrutture di trasporto è legato a quello della perifericità dei territori e alle strategie di pianificazione territoriale, 1/5 della popolazione, 12 mln., risiede in Comuni con accessibilità elevata ai servizi, mentre in quelli con scarsa accessibilità (Aree Interne) abita il 2% dei residenti. Il 55% dei Comuni, in cui risiede l’84% della popolazione, dista 15 minuti dall’ospedale dotato di Pronto soccorso e il 98% della popolazione in Comuni distanti mezz’ora. Sussistono differenze sul territorio, associate all’urbanizzazione: dista 15 minuti da un ospedale il 75% dei Comuni lombardi, contro il 14% dei Comuni della Basilicata (93% e 41% le quote di popolazione). Nel 2022, in Italia si contano 4.416 musei, monumenti e aree archeologiche aperti al pubblico, di cui 473 (10%) situati in Comuni metropolitani con il 51% dei visitatori. 3.943 musei e istituti similari sono situati fuori delle grandi città, di cui la metà in Comuni con alta accessibilità, con una media di 16.179 visitatori per museo, superiore al valore medio nazionale (13.222 visitatori), e a quello dei musei presenti in Comuni con bassa accessibilità (12.500). La scuola italiana dispone di un consistente patrimonio edilizio (61.300 edifici), ma il 16% non risulta servito dal trasporto pubblico. L’accessibilità è migliorata per gli altri: il trasporto locale consente di raggiungerne agevolmente (fermata entro 250 m.) il 58% (dal 54 nel 2018); quello inter-urbano (fermata entro 500 m.) il 47% (dal 43% nel 2018), e quello ferroviario (stazione entro 500 m.) il 10 % (9,3 % nel 2018). La raggiungibilità degli edifici scolastici presenta svantaggi nel Mezzogiorno e nelle Aree Interne, nel primo caso il trasporto pubblico locale ne raggiunge il 53%, nel Centro-nord 2 su 3 (63% ), nelle Aree interne ultra-periferiche le criticità (33% ) superano i casi positivi (28%).
I giovani sono i principali protagonisti del calo demografico in atto nella società italiana: nel 2023 in Italia si contano 10 milioni 330 mila giovani in età 18-34 anni, con una perdita di 3 mln. dal 2002 (-23%), la riduzione dei giovani dal 2002 al 2023 è stata del 28% nel Mezzogiorno, a causa della denatalità e della ripresa dei flussi migratori, contro il 19% nel Centro-Nord, dove il fenomeno è attenuato da saldi migratori positivi e dalla maggiore fecondità dei genitori stranieri. Per l’operare di fenomeni similari, la riduzione è stata più ampia nelle Aree interne (-26%) rispetto ai Centri (-19,9), e nelle Zone rurali (-27%) rispetto alle Città (-19%); nel Mezzogiorno, il calo è più ampio in ciascuna di queste tipologie. Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta, nel 2022 il 67% dei 18-34enni vive in famiglia (60% nel 2002), con valori intorno al 75% in Campania e Puglia, si posticipano anche la nuzialità e la procreazione.
Le città metropolitane rappresentano un caso di studio sull’invecchiamento, il 24% della popolazione ha oltre 65 anni e 1/3 (5 milioni) vive nelle 14 città metropolitane e 1/3 di questi anziani vivono da soli, contro meno del30% a livello nazionale. D’altra parte, sono più istruiti rispetto alla media nazionale, 1/3 è in possesso del diploma e l’11% ha conseguito una laurea o altro titolo terziario.
Divari territoriali emergono in modo evidente nell’occupazione, nella densità di imprese e nella produttività del lavoro. Nel 2021, il 50 % delle province del Nord mostra una densità di imprese superiore alla media nazionale (12% per il Sud e 7%per le Isole); riguardo al numero di addetti ogni 1000 residenti in età lavorativa, la totalità delle province del Nord supera la media nazionale; 1 nel Sud (Chieti). Al contrario, nessuna provincia del Sud e delle Isole è migliore della media riguardo alla produttività del lavoro (3 province del Centro: Roma, Firenze e Pisa). Le imprese economicamente solide sono radicate nelle province del Nord (96 % nel Nord-ovest; 81,8 nel Nord-est); di contro, nel Sud e nelle Isole una quota ridotta di province (l’8,3 e il 7% ) fa meglio della media nazionale.
Una lettura di sintesi della robustezza economica dei territori segnala, nel Nord, 21 province forti e 2 nel Centro (Roma e Firenze); nel Sud e nelle Isole predominano i territori a bassa solidità economica (17 e 12 province). Questi risultati riflettono le disparità tra sistemi socio-economici territoriali con i raggruppamenti forti che guadagnano popolazione (+9%dal 2002 al 2022) in virtù di una maggiore attrattività nei flussi migratori (+6,6 per mille residenti), mentre le province con economie deboli perdono residenti (-3,4 %) e presentano un saldo migratorio negativo (-0,5 per mille residenti). La politica di coesione destina 1/3 del bilancio europeo alla promozione di uno sviluppo equilibrato dei territori, nonostante ciò, negli ultimi 20 anni nel caso delle Regioni meno sviluppate il divario nel Pil pro capite con la media dell’Ue27 si è ampliato. Il differenziale del Pil pro capite delle regioni meno sviluppate rispetto alla media dell’Ue27, riflette tassi di occupazione e produttività del lavoro meno elevati. Tra il 2004 e il 2023, il tasso di occupazione 15-64 anni in Italia è cresciuto dal 57% al 61% con un aumento di quasi 900.000 occupati nella stessa fascia d’età. Tuttavia, il divario con la media dell’Ue27 è cresciuto da 4,4 a 9,8 punti percentuali.
Un ambito vitale dell’economia è rappresentato dal settore culturale e creativo, nel 2021 costituito da 365.496 unità locali (7%), con 878.250 addetti (5%del totale delle imprese italiane), generando 37,8 mld. di valore aggiunto (4%). Tali imprese hanno una maggiore concentrazione nel Centro-Nord (7% nel Nord-ovest; 8% nel Nord-est e nel Centro) rispetto al Mezzogiorno (5,6%al Sud; 5,5%nelle Isole), che è la ripartizione più dinamica nella creazione di nuove attività.
L’Italia dell’agricoltura invece è suddivisa in 5 gruppi:
- il “Mezzogiorno a bassa redditività” dove si localizza il 37% delle unità, con bassa redditività, ma con una buona propensione per il biologico (21% del gruppo);
- il “Centro-nord innovativo, integrato e redditivo” (26%delle aziende);
- il “Nord multifunzionale e ad elevata produttività” (16% delle aziende, di cui 42% innovative);
- le “Zone montane a bassa densità di aziende agricole” (0,8%delle aziende);
- “l’altro Mezzogiorno bio e performante” (18% delle aziende)
Il “Nord multifunzionale ad elevata produttività” si colloca tra Milano e Torino, mentre il Nord-est si compone di diverse enclave. Le aree con alta produttività del Mezzogiorno si localizzano in zone costiere della Puglia, della Calabria ionica settentrionale e tirrenica meridionale, nell’area vesuviana, nella Sicilia orientale e nel Sud della Sardegna con alta propensione all’export (3%). Al Centro (nord della Toscana, nord-est di Roma, agro-pontino) si trovano altre aree ad elevata produttività, con aziende del secondo gruppo, integrate verticalmente (56%) e redditive (47%). Nel 2004 le aziende agrituristiche in Italia erano 14000, nel 2022 il numero è raddoppiato (26 mila circa). Il tasso di crescita medio annuo è del 3,8%, omogeneo per tutte le macroaree. Nel 2022 gli arrivi nelle strutture agrituristiche superano i 4 milioni, registrando un recupero sia rispetto al 2021 (+35%), sia al 2019 (+8,5 %).
L’Indice di Fragilità Comunale misura l’esposizione dei territori comunali ai rischi di origine naturale e antropica, nonché alle condizioni di criticità connesse alle caratteristiche demo-sociali della popolazione e del sistema economico-produttivo, nel 2021 i comuni con livelli di fragilità alta sono il 16% e vi risiede il 9% della popolazione (5 mln.). La distribuzione geografica conferma il divario tra i territori del Nord e quelli del Mezzogiorno, in quest’ultima ripartizione il 40% dei Comuni e il 24% della popolazione ricadono nelle 2 classi a rischio. Al contrario, i Comuni caratterizzati da livelli di fragilità minima sono diffusi nel Nord-est (57% dei Comuni e 79% della popolazione), i valori critici dell’indice interessano i Comuni della Calabria (64%) e della Sicilia (56%). Nel corso del triennio 2018-2021 si riduce l’incidenza dei Comuni e della popolazione che insiste nei territori fragili (-3,9% e -3%) e aumenta quella dei territori meno fragili (5% e 9%), il calo della quota di Comuni in condizioni critiche interessa le Isole e le regioni del Sud, a eccezione dell’Abruzzo.
Fonte: ISTAT