Oltre 56 mila edizioni e 550 mila pagine raccolte digitalmente e consultabili da pc, tablet e smartphone raccontano la storia di Trieste e della Venezia Giulia dagli albori del quotidiano: è stato effettuato un lavoro di metadatazione e indicizzazione. Il progetto ha richiesto 6 anni, partendo dal 2016, e ha permesso la trasposizione delle copie cartacee del giornale nell’archivio digitale grazie alla collaborazione del gruppo Gedi, della Regione Friuli-Venezia Giulia attraverso Erpac e del Comune di Trieste con la Biblioteca civica Hortis: le copie non in possesso della Biblioteca Hortis sono state fornite dalla Biblioteca Stelio Crise di Trieste e dalla Biblioteca nazionale di Firenze.
«Tasselli spessi e grandi del mosaico che ci aiuteranno a capire il Secolo breve», nelle parole dell’Assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli. «Strumento potentissimo nell’ambito della ricerca e della ricostruzione storica», nella definizione del Rettore dell’Università di Trieste Roberto Di Lenarda: “Un patrimonio di Trieste, dell’Italia e della storia europea, nella voce del presidente della Regione Massimiliano Fedriga”.
Sono alcuni dei concetti emersi nel Palazzo della Regione, dove è stato presentato l’Archivio storico digitale del Piccolo: oltre 56 mila edizioni – dal 1881 al 2010 – consultabili online.
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«Penso di conoscere le pietre della città, ma rileggendo l’archivio troverò aneddoti e novità», ha detto il Sindaco Roberto Dipiazza chiamato sul palco da Giani con Di Lenarda, il quale ha detto che «useremo l’archivio anche» nelle ricostruzioni storiche per il centenario d’Ateneo; e ha citato «il bell’impegno di chi fa ricerca» rivolto ai giovani studiosi che hanno illustrato i lavori redatti con l’archivio del Piccolo.
Quello della digitalizzazione è stato un impegno lungo anni, ha ricordato Monestier assieme all’ad di Gedi Fabiano Begal, chiamando a intervenire il soprintendente archivistico del Fvg Luca Caburlotto e l’assessore Gibelli.
È un «capitale di memoria» quello che si offre come «elemento di democrazia» per citare Vezzosi. Da questa parola è partito il colloquio finale fra Monestier e Fedriga, il quale vede «le democrazie occidentali stanche», che «devono mettersi in discussione sul funzionamento della rappresentatività e sulla capacità di dare risposte alle esigenze dei cittadini», perché in questa capacità spicca l’antidoto ai totalitarismi. Ringraziando il premier Draghi che sul tema Ucraina «ha fatto prendere all’Italia una posizione chiara», Fedriga ha aggiunto come pur con le «molte lacune» le democrazie «ci permettono di vivere liberi» e pure di dire «stupidaggini, che si contestano non con la censura ma con la verità». E il giornalismo nell’epoca dei social «ha forse riscoperto il ruolo dell’informazione responsabilizzata», che si assume responsabilità di ciò che sostiene. E che è tassello di democrazia: per questo, anche «come cittadini, dobbiamo valorizzare quanto abbiamo ottenuto, e non darlo per scontato».