Nell’ultima versione delle previsioni, l’Istat si basa sulle tendenze rilevate negli ultimi anni e riporta l’andamento della numerosità della popolazione, delle nascite e del numero di decessi fino al 2065. Ovviamente più ci si spinge in avanti nel tempo più le previsioni variano nel grado d’incertezza e gli elementi più difficili da prevedere sono la fecondità e le migrazioni, ma ipotizzando che le condizioni di sopravvivenza migliorino con un aumento di 5 anni di sopravvivenza entro il 2065, comunque rispetto ai 60,3 milioni di residenti dell’inizio del 2020 l’ammontare della popolazione è previsto calare sotto i 60 milioni nel prossimo decennio per toccare i 59 nel 2040 e scendere sotto i 54 milioni nel 2065. La motivazione della tendenza è che il volume delle nascite non compenserà il volume dei decessi.
Infatti, nonostante le previsioni vedano un parziale recupero della fecondità (fino a 1,59 nel 2065), considerando il contingente di potenziali genitori che tenderà a diminuire, difficilmente il numero di nascite potrà risollevarsi rispetto al numero attuale. Gli scenari di nascite e decessi riportano la tendenza a registrare annualmente saldi negativi per il movimento naturale della popolazione e la prospettiva di un pur parziale recupero della fecondità non basterà a determinare un numero di nati che risulti sufficiente a compensare l’aumentato numero di morti.
I decessi, in condizioni di sopravvivenza migliorate, tenderebbero a salire in misura fino ad oltre 736 mila nel 2040, e oltre 850 mila trent’anni dopo, quando le nascite medie ipotizzate sarebbero poco più della metà dei decessi. In seguito, con l’estinzione delle generazioni del baby boom il numero di decessi diminuirebbe, quindi a meno di un cambiamento del contesto globale (come il cambiamenti derivati dal rialzo della mortalità a causa del Covid), la futura evoluzione demografica appare definita. Dalle equazioni “meno madri potenziali=meno nascite”, anche se la fecondità aumentasse e “più individui in età anziana=più decessi”, scaturisce la previsione di un saldo naturale (nascite meno decessi) negativo che tende ad assumere dimensioni rilevanti.
Dopo pochi anni si ipotizza che il saldo oltrepasserà le 200 mila unità in meno per oltrepassare la soglia delle 300 e delle 400 mila entro il 2044 e il 2053. Il Mezzogiorno nei prossimi decenni presumibilmente perderebbe popolazione mentre il Centro-Nord, dopo i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, subirebbe un progressivo declino della popolazione dal 2045 in poi. In questo quadro gli indicatori riguardanti la struttura della popolazione registrano un progressivo invecchiamento: si prevede un’età media della popolazione in crescita dagli attuali 45 anni agli oltre 50 nel 2065. La parte di popolazione che subirà il calo più considerevole è la popolazione in età dai 15 ai 64 anni con un calo di 10 punti al 2065 e invece quella ultra-65enne aumenterebbe di 10 punti. Questo perché i nati del baby boom dal 1960 al 1975, oggi in età dai 45 ai 60 anni, transiteranno verso le età senili e il picco dell’invecchiamento della popolazione è previsto tra il 2045 e il 2050. Da un lato si assisterà a una riduzione numerica delle coorti di donne in età feconda (14-50 anni), dall’altro si assisterà a coorti di popolazione in età anziana dai 65 anni infoltite e pari nel 2030 al 27% e tra 25 anni ad oltre un terzo del totale della popolazione (34% nel 2045-50, secondo Istat).
A questo punto gli scenari subiscono variazioni rilevanti passando dallo scenario medio, dove il saldo migratorio è pari a 165mila unità annue, a scenari alternativi. Dobbiamo prendere in considerazioni il dato che le migrazioni sono concentrate nelle età giovanili-adulte, quindi le ipotesi sui futuri flussi migratori hanno un effetto anche sul numero previsto di donne in età feconda e, pertanto, sul numero di nascite più che sull’ammontare previsto di decessi. Per fare un esempio nello scenario a “più alta immigrazione”, rispetto alle previsioni di base, la popolazione totale italiana aumenterebbe nei prossimi decenni e raggiungerebbe i 62 milioni di persone nel 2040 o scenderebbe a 54 milioni in quello “a zero migrazioni”. Una forchetta notevole che non mancherebbe di influenzare il contingente di potenziali genitori e conseguentemente dei potenziali lavoratori.
Fonte: Luiss Business School – Istat