In Italia poco meno della metà del volume di acqua prelevata alla fonte (47,9%) non raggiunge gli utenti finali a causa delle dispersioni idriche dalle reti di adduzione e distribuzione. Lo rilevano le statistiche dell’Istat diffuse in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, istituita dall’ONU, che si celebra ogni anno il 22 marzo. La dispersione è molto più accentuata nel settore civile, con perdite del 45,3%. Per le pratiche irrigue si stima invece una dispersione di acqua del 15%; risultano minime infine le percentuali di dispersione per gli altri usi. Il dato più eclatante è quello degli acquedotti: si perdono in media 41,4 litri ogni 100 immessi nelle reti di distribuzione (inclusi nel dato gli allacciamenti abusivi e gli errori di misurazione). Acquedotti che si sviluppano per 425mila km di rete, compresi gli allacciamenti si arriva a 500mila km, e soffrono di invecchiamento. Il 60% delle rete nazionale è stato posato oltre 30 anni fa e il 25% supera anche i 50 anni. Ma il tasso nazionale di rinnovo è pari a 3,8 metri di condotte per ogni km di rete: significa che a questo ritmo occorrerebbero oltre 250 anni per sostituire l’intera rete. Utilitalia stima in 5 miliardi all’anno l’investimento per adeguare e mantenere la rete idrica nazionale, una cifra enorme non alla portata delle finanze nazionali. Attualmente gli investimenti si attestano a circa 32-34 euro per abitante all’anno, mentre la media europea è di circa 100 euro (in Danimarca si arriva a 129 euro).
Analizzando il fenomeno dello spreco idrico dal punto vista della distribuzione territoriale, emerge che sono 11 i Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana interessati nel 2017 da misure di razionamento nell’erogazione dell’acqua per uso civile, quasi tutti ubicati nel Mezzogiorno. In particolare, le città virtuose che contengono i danni delle perdite sono soltanto il 6,5%, mentre il 7,5% dei Comuni spreca oltre il 70%. In testa alla classifica c’è Frosinone dove la rete colabrodo butta via addirittura il 75% dell’acqua nel tragitto dall’impianto di erogazione ai condomini. Seguono Potenza (68,8%) Cagliari (59,3%), Palermo (54,6%) e Bari (52,3%). Ma anche nei grandi centri urbani del Centro Nord non si scherza: Firenze (47,1%), Trieste (46,8%), Roma (44,1%) e Perugia (41,4%). Se poi si guarda alle Regioni il dato è drammatico: in Friuli, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, le perdite superano il 60%. Per non parlare della Sicilia, dove c’è un problema cronico di erogazione dell’acqua corrente. Tutti i Comuni hanno il serbatoio d’acqua sul tetto cui attingere. Soprattutto in estate, nelle abitazioni si fanno i turni per le lavatrici e le docce, perché l’acqua non scende dai rubinetti per intere giornate. Un problema che si trascina da decenni e gli interventi stanno a zero.
Che fare per controllare e possibilmente ridimensionare il fenomeno della dispersione idrica? La tecnologia può aiutare senz’altro, oltre ai grandi investimenti, la cui mobilitazione è in questa fase storica a dir poco improbabile. Indubbiamente utilissime le smart technology, come «i contatori intelligenti», che sono delle centraline in grado di fornire informazioni sui consumi minuto per minuto registrando le anomalie. Per individuare le perdite, inoltre, sono reperibili sul mercato da anni strumenti come i geofoni, le termo camere video, gli endoscopi e i georadar, oltre ai robot, che immessi nelle rete riescono a visualizzare la perdita, valutarla e suturarla. Di più, con una conoscenza integrata dei consumi si potrebbe addirittura pianificare una «gestione della pressione di esercizio». Ad esempio nei quartieri dormitorio, dove durante il giorno i consumi sono molto bassi, si potrebbe ridurre la pressione dell’erogazione riducendo così lo sperpero per otto ore al giorno.