E’ stata avviata il 12 giugno presso la sede dell’Università della Basilicata, l’attività formativa rivolta a 25 operatori pubblici impegnati nell’attività di contrasto allo sfruttamento nell’area metapontina. La misura fa parte di un progetto della Prefettura di Matera, in collaborazione con la Regione, l’Università e il sostegno di un finanziamento Ue. La formazione è articolata in attività di aula e sul territorio anche per poter migliorare e assicurare i servizi socio-sanitari, le assunzioni regolari e l’applicazione dei contratti di lavoro.
“Si tratta – ha detto il responsabile per il coordinamento delle Politiche dei migranti della Regione Basilicata, Pietro Simonetti – di modalità formative innovative anche con la partecipazione di mediatori culturali e linguistici. Le attività in corso sono programmate anche dalle cinque Regioni meridionali nell’ambito della definizione, con la Commissione europea, del progetto ‘Suprime’ per la lotta al caporalato e l’eliminazione dei ‘ghetti’ che attualmente ospitano circa 18.000 persone, siti completamente gestiti da criminalità organizzata e caporali. L’ultima grave vicenda accaduta in Calabria descrive l’allarmante situazione”.
Nel 2017, nell’arco ionico delle tre regioni, sono stati reclutati oltre 100 mila lavoratori nel settore agroalimentare, prevalentemente migranti. Nella sola area lucana sono stati impiegati circa 34 mila lavoratrici e lavoratori di cui 14 mila stranieri. La gestione del trasporto e del reclutamento è in parte nelle mani di caporali bianchi e di nazionalità estere, come è stato ampiamente dimostrato dalle inchieste dell’Ispettorato del lavoro e delle Forze dell’ordine, che hanno determinato arresti e registrato anche forme di nuova schiavitù.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica, il lavoro irregolare in agricoltura, a cui è associato comunemente il caporalato, è in costante crescita da almeno dieci anni a questa parte. L’ultimo rapporto sulle agromafie e sul caporalato evidenzia poi come che le infiltrazioni criminali nella filiera agroalimentare e nella gestione del mercato del lavoro attraverso l’intermediazione illecita e lo sfruttamento muovano in Italia un’economia illegale e sommersa che va dai 14 ai 17,5 miliardi di euro. Un business indegno che va combattuto attraverso le norme di legge, la formazione, la tutela e la promozione dei diritti contrattuali.