Per il primo maggio non poteva mancare la classifica sull’occupazione in Italia.E, in generale, non si può discutere il dato che l’occupazione sia scesa negli ultimi dieci anni (2007-2017) nel nostro Paese. Ma affermare che sia diminuita allo stesso modo in tutta Italia non è esatto. Ogni provincia ha avuto il suo particolare percorso. Qualcuna è sprofondata, altre hanno retto meglio, qualcuna è cresciuta. Il Sud soffre sempre rispetto al Nord, ma ci sono territori e piccole imprese ad alto tasso di sviluppo anche nel Mezzogiorno. E se gli ultimi anni hanno segnato una ripresa dell’occupazione (tenendo fuori le polemiche su posti a tempo indeterminato, lavoretti e così via) non siamo ancora tornati ai livelli pre-crisi, se non in alcune province. Ma entriamo più nel dettaglio.
Nel 2017 tra gli italiani in età di lavoro, 15-64enni, Bolzano è la provincia con il più alto tasso di occupazione (72,9%), Venezia è invece quella che ha avuto il maggiore aumento dell’occupazione (+4,8%) dal 2007 a oggi. Sempre nel 2017 tra i giovani, i 25-34enni, Lecco è la provincia con il più alto tasso di occupazione (81,7%), Lodi è, invece, quella che ha avuto il maggiore aumento dell’occupazione (+3,1%) nel decennio.
Questi i campioni di questa speciale e positiva classifica dell’occupazione in Italia per provincia che Manageritalia, con il supporto tecnico di AstraRicerche, ha elaborato sui dati Istat 2017, come tradizione in occasione della Festa del lavoro.
Partiamo dalla classifica degli italiani in età di lavoro, i 15-64enni. Come detto, Bolzano è prima con un tasso di occupazione del 72,9%, seguono, sul podio, Bologna (71,8%), Milano (69,5%), la media nazionale è 58%. Agli ultimi tre posti abbiamo Palermo e Caltanissetta (38,5%) e terzultime ex aequo Foggia (38,2%) e Reggio Calabria (37,5%). Il divario tra la prima e l’ultima è di quasi 35,4 punti e a Bolzano gli occupati sono in percentuale quasi il doppio di quelli di Reggio Calabria.
In termini di variazione dell’occupazione tra il 2007 e il 2017, solo 35 province su 103 sono positive e svettano Venezia (+4,8%), Livorno (+4,4%), Pisa (+4,3%). Mentre tra le più negative troviamo Ravenna (-6,9%), Benevento (-7,1%), e, ultima, Imperia (-8,4%).
Se le donne hanno in tutte le province un’occupazione inferiore a quella degli uomini, sono però, nel decennio considerato, le sole che crescono determinando un aumento e-o un minor calo dell’occupazione totale. Il Nord è come sempre e ampiamente più positivo del Sud, basta vedere come scendendo nello stivale, nella speciale mappa infografica dell’occupazione totale, si passi dal verde comunque piuttosto pallido, al giallo e al rosso. Ma tra le prime venti province per aumento dell’occupazione nel decennio troviamo anche un po’ di Sud e Isole (10° Brindisi +1,8%, Cagliari 12° +1,7%, 15° e 16° Matera e Vibo Valentia +1,6%). E tra le 35 province su 103 che crescono c’è anche Avellino 30° con +0,6%.
Passando alla classifica dei giovani, i 25-34enni, ai primi tre posti per occupazione abbiamo Lecco (81,7%), Bolzano (81,4%), Belluno (81,1%), la media nazionale è 61,3%. A fondo classifica ci sono Crotone (33,9%), Reggio Calabria (33%) e Benevento (32,9%). Il divario tra la prima e l’ultima è di quasi 50 punti (48,8), a Lecco i giovani occupati in percentuale sono 2,5 volte quelli di Benevento.
In termini di variazione tra il 2007 e il 2017, solo Lodi è positiva (+3,1%), seguono con i cali più contenuti Bolzano (-0,7%) e Vibo Valentia (-0,8%). Mentre in profondo rosso al fondo abbiamo Ravenna (-18,4%), Gorizia (-19,8%), e, anche qui ultima, Imperia (-20,5%).
In tre province (Biella, Ascoli Piceno e Benevento) su 103 le donne hanno un tasso d’occupazione maggiore di quello degli uomini e aumentano in 13 province, mentre gli uomini crescono solo a Viterbo. Il divario Nord Sud è qui ancora più vistoso.
Questa la situazione di un’Italia dove, grazie alla ripresa economica, l’occupazione ha ricominciato a crescere dal 2015, ma non ancora in modo solido e di qualità. Ci sono e vanno valorizzate, moltiplicate e messe a sistema situazioni ampiamente positive. Oltre a quel noto 20% di ‘multinazionali tascabili’ che competono con successo sui mercati mondiali, ci sono altre realtà.
L’Istat nell’ultimo anno (Rapporto mercato del lavoro 2017) ha individuato circa 75mila imprese (10% del totale) con la migliore performance occupazionale (+7%). Sono in gran parte imprese di dimensione micro e piccola, attive da almeno sei anni, che operano prevalentemente nei servizi di mercato. Si distinguono per una produttività elevata (+ 5% rispetto alla media), un basso costo del lavoro (-15% del clup medio) e retribuzioni superiori alla media del settore. Hanno una forza lavoro interna mediamente più giovane (l’81,5% del personale dipendente è under 40, contro una media del 47%) e istruita (impiegano 4 lavoratori laureati ogni 10 non laureati, a fronte di una media pari a 2,5). In tutte queste realtà, un driver che emerge con chiarezza è il ruolo del capitale umano.
“Per riprendere a crescere e creare occupazione di qualità -dice Guido Carella, presidente Manageritalia- dobbiamo puntare sulle imprese che innovano e operano in settori ad alto valore aggiunto. Questi campioni vanno accompagnati in un rafforzamento manageriale, dimensionale e competitivo con un ecosistema che li favorisca. I veri incentivi stanno nel dare loro opportunità di trovare lavoratori ad alta scolarità e competenze qualificate. Così ci sarà spazio per i nostri giovani, anche di ritorno dall’estero, e per le tante esperienze e competenze che abbiamo e non trovano sbocchi adeguati”.
“Su queste aziende e questi lavoratori -auspica Carella- dobbiamo puntare per cogliere la parte buona e vitale dell’innovazione, per cambiare il mondo del lavoro, le organizzazioni e i modelli di business. Loro ci possono portare nell’economia digitale e 4.0, quella che serve oggi per competere con successo. Un processo di startup già in atto, ma che va rafforzato e diffuso e del quale i manager sono componente vitale e indispensabile”.
“Un percorso -suggerisce- che deve poi diffondersi e includere tanti, tutti, e contaminare i territori e la società. La nostra classifica e le nostre analisi sono sempre volte a sottolineare gli aspetti e le storie positive, per farne modelli di rifermento, emulazione e vantaggio per tutto il Paese”.