La quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 13 aprile 2018 n. 2214 fornisce diversi chiarimenti in merito alla funzione del Piano economico finanziario.
Il Piano economico finanziario (PEF), spiegano i giudici di Palazzo Spada, è volto a dimostrare la concreta capacità del concorrente di eseguire correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico – finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l’intero periodo: il che consente all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione stessa. È un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce a questa ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa va a trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività.
Sicché il PEF non può essere tenuto separato dall’offerta in senso stretto, rappresentando un elemento significativo della proposta contrattuale perché dà modo all’amministrazione, che ha invitato ad offrire, di apprezzare la congruenza e dunque l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto: pertanto un vizio intrinseco del PEF – come un riferimento temporale diverso dallo quello stabilito – si riflette fatalmente sulla qualità dell’offerta medesima e la inficia. Nella vicenda in rassegna, dunque, un PEF che ha un riferimento temporale diverso da quello stabilito dalla lex specialis di gara, non configura una mera irregolarità formale o un errore materiale e dunque non è sanabile mediante il soccorso istruttorio.