La terza sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 1254/2018, ha chiarito che non sussiste un conflitto di interesse fra il comune quale soggetto che nell’esercizio del potere pianificatorio individua e localizza la sede farmaceutica ed il comune nella veste di prelazionario
La possibilità della prelazione comunale, spiegano i giudici di Palazzo Spada, in materia di farmacie è prevista dalla legge e non può giustificare di per sé il sospetto di un conflitto di interesse invalidante. La sussistenza di un potenziale interesse gestorio può rilevare solo ove si concretizzi in una concreta ipotesi di sviamento, del quale però devono essere provati gli elementi sintomatici. E nel caso di specie, non sono emersi significati indizi di sviamento della funzione pianificatoria.
Non sussiste un conflitto di interesse, dunque, con conseguente violazione dell’art. 97 e 3 della Costituzione, fra il Comune quale soggetto che nell’esercizio del potere pianificatorio individua e localizza la sede farmaceutica, ed il Comune nella veste di prelazionario che, in quanto titolare della sede stessa è abilitato a sfruttarne economicamente l’esercizio. In quanto il potere di pianificazione è un potere amministrativo affidato ad soggetto pubblico per la cura di un interesse urbanistico, o di altri interessi pubblici rilevanti, il cui esercizio è presidiato da garanzie procedimentali e controlli finalizzati ad assicurare un trasparente e equo contemperamento degli interessi privati che di volta in volta vengono in rilievo.
I suoi esiti di conformazione, localizzazione, regimentazione sono sottoposti a sindacato giurisdizionale ove un soggetto se ne ritenga leso. E’ pur possibile, e anzi è normale, che alcune delle utilità disponibili a seguito dell’attività pianificatoria, siano considerate idonee ad essere sfruttate direttamente dal soggetto pubblico in quanto funzionali alla realizzazione o somministrazione di opere o servizi di pubblica utilità, ma anche quando ciò avvenga, la realizzazione dell’opera o l’assunzione del servizio nient’altro sono che la prosecuzione e la piena realizzazione della mission istituzionale dell’ente a beneficio della collettività di riferimento.
Non può esservi conflitto di interesse fra due attività di rilievo pubblico, concludono i giudici d’Appello, nemmeno quando esse abbiano un rilievo economico. Può piuttosto esservi cattivo esercizio di una o entrambe le attività, per effetto di violazione di legge o eccesso di potere, di modo che esso crei pregiudizio per la corretta realizzazione dell’interesse pubblico e al contempo per gli interessi privati che concorrono con esso. Un problema, dunque, di legittimità dell’azione, non già di costituzionalità delle norme che la disciplinano.