È una realtà sempre più diffusa quella che vede impegnati, insieme, i penitenziari e i Comuni italiani nell’ottica di un’azione sinergica tra l’Amministrazione Penitenziaria e le Amministrazioni locali per un contatto sempre più stretto e concreto tra carcere e territorio. I libri sono raccolti, preparati, conservati e distribuiti x essere usati. Il materiale delle carceri, che proviene da donazioni, non è una raccolta organica e coerente a un insieme di documenti usurati ed obsoleti, privi di coerenza ed affinché il libro circoli, deve essere interessante, soprattutto nelle carceri dove i detenuti spesso non hanno confidenza con i libri e lettura e devono essere maggiormente sedotti. Il bibliotecario deve creare un collegamento tra il libro sullo scaffale ed il suo fruitore. In questo contesto la relazione tra biblioteca e cultura della legalità è strettissima, per questo leggere non può essere un privilegio riservato a pochi: è un diritto fondamentale della persona ed è un’opportunità da favorire anche nell’interesse collettivo.
La presenza in carcere di servizi di pubblica lettura e di bibliotecari specializzati contribuisce a rompere quel senso di isolamento che spesso i detenuti sentono anche dopo aver scontato la pena. E’ questo il principio per il quale è stato rinnovato fino al 2020 l’accordo per la promozione e la gestione dei servizi di biblioteca negli istituti penitenziari italiani, nato nel 2013, tra Ministero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione penitenziaria (DAP), Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Associazione nazionale Comuni d’Italia (ANCI) e Associazione italiana biblioteche (AIB).
Il protocollo, sottoscritto in questi giorni, fornisce un quadro normativo unico a quanti si occupano a vario titolo di biblioteche penitenziarie, così da avere un modello di riferimento applicabile alle diverse realtà territoriali e parte dalle linee guida redatte dall’IFLA (International Federation of Libraries Associations and Istitutions), secondo cui le biblioteche carcerarie “devono emulare il modello della biblioteca pubblica fornendo, in aggiunta, risorse per i programmi educativi e riabilitativi del carcere”.
Per le persone in esecuzione di pena il diritto alla lettura e l’accesso all’informazione sono fattori irrinunciabili per contrastare il rischio di marginalità e favorire il reinserimento sociale, come vuole la Costituzione Italiana che sancisce la finalità rieducativa della pena. La presenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario italiano è prevista dall’ordinamento carcerario, i libri e i periodici a disposizione della biblioteca devono garantire ”una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale, assicurando ai soggetti in esecuzione di pena un agevole accesso alle pubblicazioni presenti in biblioteca”.
Nel protocollo si definisce il ruolo della biblioteca come “centro informativo e di supporto all’apprendimento della comunità penitenziaria e, compatibilmente con il regime detentivo cui sono individualmente sottoposti i soggetti reclusi, garantisce ai propri utenti un accesso ampio e qualificato alla conoscenza, all’informazione e alla cultura, senza distinzione di età, razza, sesso, religione, nazionalità, lingua o condizione sociale”. In particolare, mediante accordi di collaborazione tra le Amministrazioni locali e le Direzioni degli istituti penitenziari, si cercherà di favorire “l’accesso al patrimonio librario e multimediale da parte dei detenuti anche attraverso appositi sistemi di consultazione informatizzata del catalogo”, formare professionalmente i detenuti incaricati del servizio; realizzare iniziative culturali quali incontri con l’autore, seminari e dibattiti su specifiche tematiche.
Per i detenuti ammessi ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario è prevista anche la possibilità di svolgere tirocini finalizzati all’inserimento occupazionale. Il primo triennio di applicazione del Protocollo ha visto la nascita in varie carceri di nuovi progetti sul territorio nazionale.