Un risarcimento in termini monetari, ma non l’assunzione che, per legge, nel settore pubblico avviene solo per concorso. L’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Maciej Szpunar, è stato a chiamato a esprimersi sul caso di una signora che tra il 4 ottobre 2010 ed il 31 dicembre 2016 ha lavorato per il comune di Valderice sempre con contratti a tempo. Il parere dell’avvocato generale, figura equivalente a quella del Procuratore, non vincola la Corte, ma spesso ne anticipa gli orientamenti.
Secondo l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Maciej Szpunar i dipendenti pubblici assunti attraverso una concatenazione di contratti a tempo determinato non hanno diritto al ‘posto fisso’, così come avviene nel settore privato, ma solo ad una compensazione economica “non irrisoria” per sanare quello che resta comunque un abuso. In pratica, l’abuso di contratti a tempo determinato nel settore pubblico non deve portare per forza alla stabilizzazione del lavoratore precario, ma questi deve almeno ricevere un risarcimento adeguato: l’indennità forfettaria prevista in questi casi «non può sostituirsi interamente al risarcimento completo del danno subito».
Il caso trattato è quello della signora Giuseppa Santoro, che si era rivolta al Tribunale di Trapani chiedendo la trasformazione del suo rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato, oltre al risarcimento del danno. I giudici siciliani avevano quindi constatato l’ illegittimità della pratica del Comune che ha superato i 36 mesi totali, ma si erano rivolti alla Corte Ue per stabilire quale debba essere il modo di reagire a tale abuso. Nel settore privato, infatti, è prevista l’automatica trasformazione del contratto da tempo determinato in indeterminato, mentre nel pubblico viene riconosciuto solamente il diritto ad un risarcimento economico, in quanto l’assunzione può avvenire solo mediante concorso.
Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che il risarcimento per i dipendenti pubblici debba essere composto da due parti: un’indennità forfettaria che va da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione, e un risarcimento per la perdita di altre possibilità lavorative che sta al dipendente stesso dimostrare. Quest’ultima, secondo il Tribunale di Trapani, è una prova “diabolica”, perché è giuridicamente impossibile che si riesca a provare l’ipotetica vittoria di un eventuale concorso pubblico mai bandito. I giudici italiani si sono quindi rivolti alla Corte di giustizia Ue, in via pregiudiziale, chiedendo se la normativa italiana rispetti i principi di equivalenza e di effettività stabiliti dal diritto dell’Unione e non discrimini di fatto i dipendenti pubblici.
Nelle sue conclusioni l’avvocato generale conferma l’interpretazione della Cassazione, infatti il diritto comunitario non impedisce a uno Stato membro di rendere non comparabili le due categorie di lavoratori, purché il suo ordinamento giuridico contempli delle misure effettive per evitare e sanzionare gli abusi. L’avvocato generale sostiene quindi che la legittimità della normativa italiana vada valutata soltanto sul piano dell’effettività delle misure sanzionatorie previste per l’abuso dei contratti a termine nel settore pubblico, e che tale valutazione spetti al giudice nazionale.