A poche ore dal discorso che il presidente Carles Puigdemont terrà alle 18 davanti all’assemblea catalana, che potrebbe poi approvare una dichiarazione di indipendenza, la sindaca di Barcellona Ada Colau ha chiesto cautela. In una dichiarazione istituzionale sulla crisi, l’esponente di Catalunya en Comú si è rivolta al primo ministro Mariano Rajoy e a Puigdemont auspicando che “non prendano nessuna decisione che possa minare la possibilità di uno spazio di dialogo“.
La sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha preso posizione contro una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Colau, espressione della coalizione di sinistra che guida la città, ha anche chiesto al governo spagnolo di ritirare le forze di polizia inviate nella regione. Ma sul nodo politico della questione ha detto: “I risultati del referendum del primo ottobre non possono servire come fondamento per una proclamazione di indipendenza”.
“Bisogna cambiare i modi di fare politica, rinunciare allo spirito di partito, far sì che la cittadinanza prenda la leadership per portare avanti la sovranità, in modo che tutti ascoltino e si sentano ascoltati. Solo così il blocco verrà superato”: Queste le parole della sindaca di Barcellona, Ada Colau, secondo quanto riporta il quotidiano La Vanguardia.
“Non possiamo rassegnarci alla politicizzazione, alla logica binaria, al linguaggio guerrafondaio, alla logica della concorrenza che cerca la sconfitta dell’avversario”, ha sottolineato la prima cittadina.
Intanto per la Catalogna oggi è il giorno della verità. Mancano poche ore alla plenaria del parlamento catalano, quando il presidente catalano Carles Puigdemont svelerà le sue carte. E mentre nessuno sa dire con certezza cosa succederà nell’arco delle prossime ore, quel che è certo è che l’ex giornalista, oggi alla guida della Generalitat, si troverà di fronte a una scelta finale: proclamare la secessione da Madrid, oppure rinunciare – momentaneamente – all’indipendenza per tentare la via della mediazione internazionale. Ma cosa comporterebbe la proclamazione dell’indipendenza da parte della Catalogna e quali sarebbero le conseguenze di uno strappo netto tra Barcellona e Madrid?
Procedere con la ‘Dui’ o fare un passo di lato, cercando di guadagnare tempo? Non è facile calarsi nei panni del leader catalano Puigdemont per tentare di decifrare le sue mosse. Domani è molto probabile che ‘l’uomo che fa tremare l’Europa’, come lo ha ribattezzato l’emittente francese Lci, decida di andare fino in fondo alle sue intenzioni, proclamando la ‘Dui’, la dichiarazione unilaterale di indipendenza, con la quale verrebbe sancita la secessione dalla Spagna.
Nonostante goda del sostegno della maggioranza dei nazionalisti del parlamento catalano, Puigdemont, come anche il separatista più intransigente, sa bene che dichiarare l’indipendenza non basterà a far scattare automaticamente la secessione dal Regno di Spagna. Per non parlare del riconoscimento internazionale dell’indipendenza catalana, già negato più volte da Bruxelles. Tagliare il cordone ombelicale con Madrid, insomma, non sarà semplice.
Tuttavia, il presidente del governo catalano potrebbe cercare di prendere altro tempo, facendo slittare di qualche giorno la proclamazione dell’indipendenza. In questo caso, si tratterebbe di una soluzione tampone, prima di trovare una mediazione con il Regno di Spagna. Un’opzione più morbida, quest’ultima, che però lascerebbe nel frattempo il Paese intero con il fiato sospeso, con lo spettro dell’indipendenza pronta a provocare un vero terremoto nel mondo finanziario ed economico.
Il governo centrale ha definito il referendum catalano “illegale” e se la Catalogna dovesse scegliere la linea dura della dichiarazione d’indipendenza, Madrid potrebbe forzare la mano a sua volta, applicando l’articolo 155 della Costituzione. Il testo prevede che il governo potrà “adottare le misure necessarie” per “costringere” una comunidad autonoma al “rispetto forzoso” dei suoi obblighi e alla tutela dell’interesse generale. Di fatto l’invocazione dell’articolo 155 comporterebbe lo scioglimento del ‘Parlament’, la sospensione della regione e verrebbero indette nuove elezioni. Finora non si è mai dovuto applicare la norma, in base alla quale peraltro il governo è tenuto a specificare quali misure concrete vuole adottare e sottoporle all’approvazione del Senato, dove il Partito popolare dispone della maggioranza assoluta.
Appare invece remota l’eventualità che il governo centrale possa schierare l’esercito in Catalogna, nonostante qualche giorno fa il ministero della Difesa spagnolo abbia ordinato l’invio di unità dell’esercito per fornire supporto logistico alla Guardia Civil e alla Polizia nazionale. Le uniche due forze alle quali potrebbe essere affidato il compito di scendere in campo in caso di repressione. La notizia dell’invio di unità dell’esercito spagnolo in Catalogna, sebbene solamente per fornire supporto logistico alla Guardia Civil e alla Polizia nazionale, appare inquietante per molti osservatori, che in questi giorni si trovano a commentare la crisi in atto.
Raramente, in tempi recenti, i militari sono stati impiegati in Europa a sostegno delle attività di polizia o, fatto ancora più raro, per ristabilire l’ordine pubblico in situazioni di disordini e potenziale guerra civile. Un intervento del governo spagnolo per assumere il controllo del governo catalano, secondo Puigdemont sarebbe “un errore che cambia ogni cosa”. Per non parlare delle decine di migliaia di separatisti che scenderebbero in piazza per rivendicare la propria indipendenza.