Da un lato c’è la centralità delle quattro ruote nel sistema di trasporto nazionale. Dall’altro il passaggio graduale da un modello di mobilità individuale, fondato sulla proprietà del bene, a uno basato sulla condivisione.
Il servizio di car sharing è sempre più diffuso ed è utilizzato come strumento di mobilità, oggi ancora saltuario e sporadico, in alternativa alla vettura di proprietà ma anche – e in misura ancora maggiore – al trasporto pubblico. Grazie all’auto condivisa, quasi 2 utenti su 10 hanno già rinunciato all’auto di proprietà, che presenta costi di gestione più onerosi rispetto al car sharing per percorrenze annue medio/basse (fino a 8.300 Km/anno, per un’auto di medie dimensioni).
E’ quanto emerge dalla ricerca “Il Car Sharing in Italia: soluzione tattica o alternativa strategica?”, condotta da Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici) e dalla società di consulenza strategica Bain & Company, presentata ieri a Milano nel corso dell’Assemblea Pubblica dell’Associazione. Secondo lo studio l’utente tipo è maschio, ha 38 anni, è pendolare e lo utilizza per raggiungere il lavoro; possiede in media 2,8 tessere e se ne serve senza preferenze per particolari operatori o modelli, verificando la disponibilità del veicolo più vicino.
Oltre metà degli utilizzatori viaggia in compagnia di una o più persone, abbattendo ulteriormente i costi sostenuti. Ogni auto condivisa toglie dalla strada fino a 9 vetture in proprietà ma per trasformare il car sharing da alternativa tattica a soluzione strategica per la mobilità urbana, le Istituzioni nazionali e locali dovrebbero uniformare la normativa sul settore e rendere omogenee le condizioni di utilizzo nelle città. Secondo lo studio, che ha definito caratteristiche, prospettive e impatto del car sharing sulla mobilità urbana in Italia, i dati registrati a fine 2016 danno conto di un fenomeno in grande sviluppo in diverse città della Penisola: 1.080.000 tessere di iscrizione (+70% vs 2015), 6.270.000 noleggi (+33%) e una flotta di 6.000 veicoli (+33%).
Ma per trasformare la mobilità condivisa da alternativa tattica a soluzione strategica per il trasporto urbano, le istituzioni nazionali e locali dovrebbero uniformare la normativa sul settore e rendere omogenee nelle città le condizioni di utilizzo. “Manca innanzitutto una definizione normativa di vehicle sharing, così come una cornice legislativa unica per gli operatori pubblici e privati, i quali oggi si confrontano con regolamentazioni del servizio disomogenee fra una città e l’altra, che creano anche confusione nell’utente finale specialmente quando è in trasferta” evidenzia Andrea Cardinali, presidente di Aniasa. “Come testimonia la ricerca, è necessario un potenziamento delle infrastrutture, prevedendo, tra l’altro, parcheggi dedicati e di scambio intermodale presso stazioni ferroviarie e della metropolitana, centri commerciali, poli universitari e ospedalieri: vere e proprie ‘isole della mobilità’ dove l’utente possa cambiare mezzo di trasporto in modo agevole e soprattutto garantito”.