Lo spopolamento dei piccoli Comuni sta riguardando un terzo dei centri italiani, soprattutto al Sud e nelle aree interne del Paese. Solo in Sardegna si prevede che nei prossimi sessant’anni, 31 dei 377 Comuni, forse non esisteranno più. Per esempio, a Bortigiadas, un paese della Gallura, nel 1951 c’erano 1.614 abitanti, nel 2015 solo 775. Anche Esterzili è passato dai 1.641 abitanti del 1961 ai 668 nel 2015. Ma siccome gli enti interessati da questa dinamica sono oltre 250, l’argomento dovrebbe essere inserito nell’agenda politica nazionale.
“Bisogna iniziare a mettere insieme ‘intelligenze’: amministratori, ma non solo. Scienziati, urbanisti, sociologi, antropologi, economisti, pastori, imprenditori, studenti e giovani, per far divenire questa problematica ‘un fatto di popolo’. Purtroppo però non è così semplice, soprattutto in una Regione come la Sardegna, ma serve dirlo. Serve che a dirlo siano sempre più persone. Poi serve la Politica. Non quella delle tattiche. Quella vera. Che trae dalle esperienze le energie per sperimentazioni inedite”, così Emiliano Deiana, Sindaco di Bortigiadas (e appena eletto alla presidenza dell’Anci Sardegna). Questo non vuole essere un grido disperato o un j’accuse generalizzato, ma bensì un richiamo alla “responsabilità di tutti”, perché lo spopolamento “non è un fatto ineluttabile”.
Proprio a questa problematica punta Spop, l’ultima pubblicazione del collettivo di architettura Sardarch, che con una fedele fotografia della realtà e un rigoroso studio scientifico, si propone come polo di discussione intorno all’urbanistica e alle trasformazioni sociali dell’isola. Spop passa in rassegna i 31 Comuni sardi, con schede, analisi delle condizioni geografiche e territoriali, e non senza evidenziare le esperienze positive e le potenzialità di ogni realtà. Un ‘atlante’ che contiene testi, grafici, fotografie e raccoglie le osservazioni e le visioni dei comuni a rischio estinzione in un’ “istantanea” realistica dello spopolamento in Sardegna. Non previsioni, ma proiezioni, a partire dalla conoscenza dello stato di fatto della Regione e dell’Italia, perché è tutto il Belpaese a essere in crisi di crescita e con intere fette di territorio a rischio desertificazione.
Si stima che oltre 10 milioni di abitanti vivano in territori abbandonati e destinati a morire. Le ultime calamità naturali che hanno interessato ampie zone dell’Abruzzo, delle Marche, dell’Umbria e del Lazio, testimoniano le immense difficoltà dei centri appenninici a difendere il territorio.
L’ultimo rapporto del Censis denuncia, al di là della solidarietà nell’emergenza, “il progressivo spopolamento di un’area storica per il Paese, che nell’ultimo periodo aveva resistito solo per la sua attrattiva turistica, ma che ora sembra voglia essere abbandonato anche dalle persone e dalle famiglie rimaste”. Questi piccoli Comuni sono sempre più spesso obbligati a esercizi di finanza creativa pur di andare avanti e le nuove generazioni, di fronte al bivio ‘restare o partire?’ scelgono la seconda strada. Lo stesso potremmo dire di tutte le aree montane e di molte zone del Sud che risentono anch’esse “dell’organizzazione insediativa policentrica del territorio italiano”.
Il dossier di Legambiente 2016 parla di ‘disagio insediativo’ per 2430 Comuni: quasi uno su tre sarebbe a rischio.
Attualmente ci sono molte aspettative sul disegno di legge per la valorizzazione dei piccoli Comuni e delle aree montane promosso dai deputati Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola, ed Enrico Borghi, Sindaco di Vogogna e presidente di Uncem, l’associazione dei Comuni montani italiani, approvato lo scorso settembre dalla Camera e poi passato in Senato. La partita si gioca nei territori, con la determinazione e la sfida della qualità, con laboratori e cantieri di cittadinanza attiva, con la rete delle associazioni dei borghi d’Italia, con tutta una serie di azioni che possano trasformare – per usare un’espressione di Antonello Sanna, preside della facoltà di Architettura di Cagliari che firma la prefazione allo studio sostenuto dalla Fondazione Sardegna – “l’irrilevanza di un’anonima periferia dell’impero in una nuova centralità sulla quale vale la pena investire. La ‘bassa densità insediativa’ trasformata da vincolo in opportunità e risorsa”.